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Contratto e impresa - Cedam

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Il danno da lesione dell’affidamento<br />

suscitato dalla lettera di patronage<br />

1. – Il patronage all’esame di una recente pronuncia giurisprudenziale<br />

Alla fine di una lunga vicenda riguardante un caso di patronage iniziata<br />

nel 1985, il Tribunale di Roma ( 1) veniva chiamato a pronunciarsi sull’esistenza<br />

e sull’entità del danno effettivo sofferto dalle banche, a seguito<br />

dell’inadempimento del patronnant accertato dalla sentenza della Corte di<br />

appello di Roma n. 1426 del 1998 (in riassunzione) ( 2), poi confermata dalla<br />

sentenza della Corte di Cassazione n. 11987 del 2001 ( 3 ). Ripercorrendo<br />

brevemente la vicenda, il patronnant, con lettera del 12 aprile 1977, informava<br />

la banca di essere intestataria del 30% delle azioni della società patrocinata.<br />

Inoltre, dichiarava di essere a conoscenza delle linee di credito<br />

concesse dalla banca alle società del gruppo e chiedeva di concedere alla<br />

stessa patrocinata « nuove facilitazioni di credito sino alla concorrenza » di<br />

una certa somma. Si impegnava altresì a vigilare sull’adempimento delle<br />

obbligazioni assunte dalla patrocinata. Infine, si impegnava ad informare<br />

la banca sulla eventuale cessione delle azioni che comunque non sarebbe<br />

avvenuta prima del rimborso di tutti i crediti. Con successiva lettera del<br />

1978 il patronnant dichiarava l’intenzione di non voler adempiere ai suddetti<br />

obblighi, sostenendo la sua estraneità ad ogni rapporto relativo alla<br />

società patrocinata e alle altre società del gruppo di cui faceva parte, nel<br />

frattempo dichiarate fallite.<br />

Accertata la responsabilità del patronnant, il Tribunale di Roma veniva<br />

chiamato a pronunciarsi sulla quantificazione dei danni subiti dalle banche<br />

che esse ritenevano fosse « quello sofferto per l’insolvenza ed il fallimento<br />

» della patrocinata.<br />

Elemento centrale sul quale verte la motivazione del Tribunale e su<br />

cui si era soffermata in precedenza la Corte d’appello è l’inesistenza della<br />

partecipazione azionaria del patronnant. Già La Corte d’appello, nel 1998,<br />

aveva accertato che la lettera non conteneva « dichiarazioni di volontà dirette<br />

alla conclusione di uno o più negozi quali quelli indicati dalle banche<br />

attrici », ma solo « la comunicazione di un fatto non veritiero: l’acquisizione<br />

. . . del 30% delle azioni . . . premessa della raccomandazione in cui<br />

( 1 ) Trib. Roma, sez. stralcio, 27 luglio-30 agosto, 2005, n. 18540, inedita.<br />

( 2 ) App. Roma, 15 aprile-4 maggio 1998, n. 1462, inedita.<br />

( 3 ) Cass., 25 settembre 2001, n. 11987, in Studium Juris, 2002, p. 393 ss.

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