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Verso una maggiore integrazione dell'agricoltura nella ...

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Tematica della ricerca<br />

Inoltre, negli anni Settanta aumenta la consapevolezza che la trasformazione<br />

del territorio, alimentata dalla massiccia urbanizzazione dei decenni precedenti, è<br />

avvenuta in modo squilibrato per cui «ci si trova già di fronte a un assetto completamente<br />

distorto del territorio e della struttura urbana» (Giustinelli, 1978: 26),<br />

attraverso un processo per cui «si sono così consumate e distrutte aree agricole<br />

tra le più produttive, e in generale si sono introdotti elementi di squilibrio fra attività<br />

insediativa e risorse naturali disponibili perché il territorio è stato utilizzato<br />

non secondo valutazioni di produttività obiettiva, ma come supporto fisico per la<br />

crescita edilizia urbana» (Detti, 1978: 18). Il continuo aumento dell’espansione<br />

urbana in modo non pianificato e anche sovradimensionato appare come l’esito<br />

della mancanza di <strong>una</strong> “programmazione unitaria del territorio e delle sue risorse”<br />

(Giustinelli, 1978: 29) e di <strong>una</strong> politica «urbanistica nel senso etimologico del<br />

termine cioè […] un fatto squisitamente cittadino: di conseguenza gli strumenti<br />

urbanistici diventano gli strumenti attraverso i quali la città si espande sulla<br />

campagna» (Graziani, 1978: 76).<br />

Questa progressiva occupazione di suolo agricolo è stata definita negli anni<br />

Settanta con l’espressione “campagna urbanizzata”, per descrivere il fenomeno di<br />

dispersione delle industrie sul territorio del Centro Italia, che si configura come un<br />

complesso reticolo di insediamenti produttivi e abitativi, con<br />

un’industrializzazione diffusa e sostanzialmente “leggera”, per cui i processi di<br />

concentrazione urbana sono stati limitati e lo sviluppo economico è risultato poco<br />

traumatico per gli equilibri sociali tradizionali (Becattini, 1975).<br />

Diventa quindi essenziale la risoluzione del conflitto tra «agricoltura e le altre<br />

attività produttive e gli insediamenti abitativi», conflitto da cui l’agricoltura «esce<br />

sempre sconfitta» in quanto proprio i «proprietari agricoli sono i più interessati<br />

alla trasformazione urbana dei loro terreni» a causa dell’aumento del valore del<br />

fondo (Cianferoni et al., 1976: 701), in <strong>una</strong> campagna polverizzata e frazionata in<br />

cui l’enorme numero di proprietari terrieri moltiplica «le occasioni<br />

d’urbanizzazione» (Merlo, 1978: 832).<br />

Urgente e necessario diventa capire se gli strumenti urbanistici siano adeguati<br />

ai fini della gestione degli spazi agricoli, quale possa essere il rapporto fra i livelli<br />

di pianificazione (regionale, provinciale, com<strong>una</strong>le, intercom<strong>una</strong>le) e quali gli<br />

strumenti da adottare. In merito all’adeguatezza degli strumenti urbanistici<br />

dell’epoca si manifestano perplessità rispetto alla metodologia adottata per la loro<br />

elaborazione, che privilegia gli aspetti urbanistici classici di tutela del territorio,<br />

compreso quello agricolo (Falasca, 1983), all’organizzazione e all’uso delle risorse<br />

(Giustinelli, 1978) e in cui è assente <strong>una</strong> «reale scala tematica del territorio»<br />

(Detti, 1978: 22). Viene inoltre osservato come la regolamentazione sia basata su<br />

indici e parametri volumetrici, che considerano l’azienda agraria come <strong>una</strong> dimensione<br />

fisica invece che economica (Cimatti, 1978), senza tener conto che, nel<br />

processo produttivo dell’agricoltura, il suolo interviene come un vero e proprio<br />

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