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Verso una maggiore integrazione dell'agricoltura nella ...

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L’area di studio: i comuni di Assisi, Bastia Umbra, Bettona e Cannara<br />

ceva ad <strong>una</strong> “loggia”, anch’essa sfruttata per varie funzioni (riposo, piccoli lavori<br />

domestici, essiccazione, controllo e avvistamento). Di solito il piano terra era adibito<br />

al ricovero degli attrezzi, degli animali e al deposito dei prodotti, mentre il<br />

primo piano aveva <strong>una</strong> funzione abitativa. Ovviamente la struttura del piano terra<br />

e le funzioni associate dipendevano dalla grandezza e dalle caratteristiche produttive<br />

del podere, dalla sua localizzazione e naturalmente dalla famiglia che lo coltivava,<br />

le cui dimensioni variavano anch’esse con le dimensioni del podere (Papa,<br />

1985). Le case rurali di montagna presentavano caratteristiche strutturali differenti,<br />

determinate dall’esigenza di proteggere gli animali (l’ovile occupava molto<br />

spazio mentre la cantina era praticamente inesistente) e i prodotti (i fienili si presentavano<br />

completamente chiusi). La casa rurale <strong>nella</strong> sua «(apparente) semplicità<br />

[..] va sempre intesa come mezzo o strumento di lavoro ed era quindi, in primis,<br />

“adatta” al podere ed a quanto si svolgeva su di esso […]. Questa è la ragione<br />

per cui la casa contadina non era mai compiuta ma in continua trasformazione»<br />

(Macchia e Sperandio, 2003: 31).<br />

La trama del paesaggio agrario era costituita dalla maglia poderale, incentrata<br />

sulle case rurali e organizzata sulla cultura promiscua, in cui si inserivano anche le<br />

ville dei proprietari che non erano solo <strong>una</strong> «dimora stagionale, ma anche espressione<br />

di <strong>una</strong> condizione sociale, di un dominio che vuole radicarsi dentro il possesso<br />

terriero» (Turri, 1979: 80), di un controllo della città sulla campagna. La<br />

coltivazione promiscua si sostituisce quindi alla monocoltura, che caratterizzava<br />

la piana di Assisi nel XV secolo (Patella, Rambotti, 1975). La coltura promiscua<br />

rappresentava, secondo Desplanques, «la base più solida di tutto l’edificio» (Desplanques,<br />

1975: 298), in quanto la consociazione della coltivazione dei cereali<br />

con le piante arboree, legava il mezzadro e i suoi familiari al podere, impegnandoli<br />

tutto l’anno anche <strong>nella</strong> trasformazione dei prodotti (vino, olio, filatura della<br />

canapa, baco da seta) e garantendo loro sufficienti mezzi per la sussistenza. Le<br />

colture arboree prevalenti erano la vite, che veniva coltivata “maritata” a sostegni<br />

vivi 69 e disposta a filare tra <strong>una</strong> parcella ed un'altra, e l’olivo. Sempre dagli studi<br />

di Desplanques emerge come le parcelle di forma (rettangolare o quadrata) e dimensioni<br />

differenti (50x50 m; 20x300 m;..) a seconda delle caratteristiche pedologiche<br />

e orografiche dei terreni e dell’assetto proprietario, nell’area compresa tra<br />

Spello, Cannara e Assisi presentano <strong>una</strong> regolarità impressa dalla centuriazione<br />

romana. L’ambiente fisico influisce anche sull’economia poderale con la prevalenza<br />

di <strong>una</strong> economia silvo-pastorale in montagna, della coltura promiscua in collina<br />

e della coltivazione associata di piante arboree ai cereali, a cui si aggiungono<br />

foraggere e piante industriali in pianura (Desplanques, 1955).<br />

69 La coltivazione della vite maritata all’albero viene indicata nell’Italia Centrale con il nome di alberata tosco-umbromarchigiana<br />

e rappresentava in passato la modalità di allevamento più diffusa. I sostegni di solito erano l’acero (in Umbria<br />

detto stucchio), l’olmo e il gelso. L’acero (dal cui legno si ricavavano pali e manici degli attrezzi) e l’olmo fornivano con le<br />

loro fronde <strong>una</strong> importante <strong>integrazione</strong> alimentare per i bovini, mentre le foglie del gelso servivano per nutrire i bachi da<br />

seta.<br />

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