hacktivism: la liberta' nelle maglie della rete - Dvara.Net
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Nel 1972 <strong>la</strong> "Saturday Review" riporta l'affermazione di Albrecht che "vuole<br />
creare Computer Center di quartiere che siano accessibili a tutti" (Levy<br />
S., 1996, p. 177).<br />
Il Community Memory Project (Cmp) è <strong>la</strong> prima comunità virtuale con basi<br />
sociali, progettata nel 1971 e realizzata a San Francisco nel 1973. Secondo<br />
il vo<strong>la</strong>ntino distribuito allora, il Cmp era "un sistema di comunicazione<br />
che educava <strong>la</strong> gente a prendere contatto con gli altri sul<strong>la</strong> base di<br />
interessi condivisi, senza dover sottostare al giudizio di una terza parte"<br />
(Levy S., 1996, p. 160). Facilitare le comunicazioni tra persone<br />
interessanti del<strong>la</strong> zona, fornire un sistema sofisticato di teleconferenze<br />
gratuito o a basso costo e proporre <strong>la</strong> posta elettronica alle masse sono<br />
state alcune delle caratteristiche delle prime comunità virtuali il cui<br />
obiettivo era di favorire <strong>la</strong> costruzione di un universo aperto.<br />
Il Community Memory Project non voleva semplicemente essere un database per<br />
raccogliere i saperi del<strong>la</strong> comunità. La possibilità per ognuno di<br />
contribuire a un progetto collettivo dava nuova sostanza all'idea di<br />
autogestione sviluppata <strong>nelle</strong> aree di movimento. Le comunità virtuali<br />
nascono infatti come un esperimento di autoprogettazione: i primi utenti<br />
avrebbero progettato il sistema per gli utenti successivi. L'impiego del<br />
sistema si sarebbe coevoluto con il sistema stesso (K. Kelly in Rheingold,<br />
1994, p. 52). L'evoluzione del sistema diventa dunque il risultato<br />
dell'insieme di eventi di autogestione che ogni individuo sviluppa in <strong>rete</strong>.<br />
In queste comunità <strong>la</strong> ricerca e sviluppo sui computer e lo sviluppo di<br />
applicazioni sostanziali si supportano l'un l'altro producendo crescenti<br />
risorse informatiche di programmi, dati e know-how necessarie al<br />
funzionamento del<strong>la</strong> comunità stessa. Il rischio sarà semmai quello di<br />
esaurire <strong>la</strong> comunicazione in <strong>rete</strong> in uno scambio di soluzioni tecniche. È<br />
il rischio paventato da Mao Tse-Tung con <strong>la</strong> celebre frase "guarda <strong>la</strong> luna e<br />
non il dito". Il fine ultimo deve essere lo scambio e <strong>la</strong> comunicazione tra<br />
le persone, <strong>la</strong> loro felicità (<strong>la</strong> luna). Il fine ultimo non è far circo<strong>la</strong>re<br />
soluzioni tecniche che garantiscano il funzionamento del<strong>la</strong> <strong>rete</strong> (il dito),<br />
il fine ultimo è che dallo scambio in <strong>rete</strong> emerga felicità per ogni<br />
partecipante.<br />
Un altro caso esemplificativo del<strong>la</strong> trasposizione del modello comunitario<br />
proposto dalle utopie californiane negli anni Sessanta all'interno delle<br />
nascenti comunità virtuali è il caso di The Well comunità formata nel 1985<br />
dalle persone che avevano <strong>la</strong>vorato all'interno del<strong>la</strong> Farm, una comunità<br />
agrico<strong>la</strong> del Tennessee molto famosa negli anni Sessanta.<br />
Le comunità virtuali sono luoghi dove <strong>la</strong> gente s'incontra, e sono anche<br />
strumenti; l'elemento spaziale e quello funzionale coincidono solo in<br />
parte. Alcuni entrano nel Well solo per far parte del<strong>la</strong> comunità, alcuni<br />
solo per avere informazioni, altri vogliono entrambe le cose (K. Kelly in<br />
Rheingold, 1994, p. 66).<br />
Le reti telematiche forniscono dei meccanismi di reciprocità.<br />
La ricerca di informazioni viene potenziata dalle re<strong>la</strong>zioni <strong>nelle</strong> comunità<br />
virtuali. La comunità virtuale può dunque diventare una risorsa per<br />
ottenere informazioni. Ma l'idea che sta al<strong>la</strong> base delle prime comunità<br />
virtuali non riflette il modello del<strong>la</strong> reciprocità "do ut des", quello per<br />
cui si dà qualcosa per avere in cambio qualcos'altro, ma favorisce<br />
un'economia dello scambio in cui <strong>la</strong> gente fa cose per gli altri rispondendo<br />
al desiderio di costruire qualcosa di collettivo, un desiderio cioè di<br />
solidarietà e partecipazione. Lo stare in una comunità virtuale, anche solo