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biblioteca di studi di filologia moderna – 10 - Firenze University Press

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PerformatiVita’ del canone 31<br />

matività in ambito economico (si vedano ad esempio lee e liPuma 2002;<br />

mackenzie, muniesa e siu 2007), negli stu<strong>di</strong> sulla scienza e sulla tecnologia<br />

(callon 1998), nel pensiero sulla postmodernità (lyotard 1984) e in<br />

tutto il campo <strong>di</strong>fforme e complesso degli stu<strong>di</strong> sulla performance (si veda<br />

loxley 2007). ripercorrere poi le intersezioni e i <strong>di</strong>aloghi tra tutti questi<br />

campi del sapere richiederebbe un volume a sé.<br />

tuttavia, nel contesto delle relazioni tra performatività e canone, particolarmente<br />

interessante mi sembra il filone <strong>di</strong> pensiero (che pare intersecare<br />

tutti gli altri) che da John austin passa per John searle, Jacques derrida,<br />

Paul de man, almeno fino a Ju<strong>di</strong>th butler e a eve Kosofsky sedgwick. Pur<br />

senza usare esplicitamente la parola ‘canone’, James loxley ha giustamente<br />

osservato che gli autori chiave <strong>di</strong> questo filone <strong>di</strong> pensiero sono generalmente<br />

riconosciuti e persino <strong>di</strong>sposti in una sorta <strong>di</strong> ‘narrativa standard’<br />

dello sviluppo del concetto <strong>di</strong> performatività. eppure, come lo stesso stu<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> loxley <strong>di</strong>mostra 3 , a partire da uno stesso corpus <strong>di</strong> testi sono possibili<br />

<strong>di</strong>verse ricostruzioni dei rapporti intellettuali tra autori/autrici e opere, <strong>di</strong>verse<br />

narrazioni che <strong>–</strong> per spostamenti, slittamenti e riaggiustamenti sottili<br />

<strong>–</strong> tendono a produrre molteplici versioni dello stesso ‘canone’ (o forse<br />

<strong>di</strong>versi canoni) <strong>di</strong> quella che siamo soliti chiamare ‘performatività’. non<br />

a caso il lavoro <strong>di</strong> loxley costituisce una rivalutazione <strong>di</strong> alcuni aspetti<br />

della teoria <strong>di</strong> austin non sufficientemente riconosciuti dalle riletture che<br />

ne sono state date soprattutto in ambito francese. Vorrei ora rileggere brevemente<br />

il percorso teorico che da austin arriva a sedgwick per vedere<br />

più in dettaglio come sia possibile rintracciare in esso una tendenza alla<br />

formazione del canone (o dei canoni) della perfomatività.<br />

le do<strong>di</strong>ci lezioni tenute da austin nel 1955 all’università <strong>di</strong> Harvard<br />

(e pubblicate postume nel 1962 sotto forma <strong>di</strong> libro, il celebre How To Do<br />

Things With Words) sono assunte dalla ‘narrativa standard’ come punto<br />

originario dello sviluppo del concetto <strong>di</strong> performatività 4 . in sintesi, nelle<br />

sue lezioni austin in<strong>di</strong>vidua un particolare tipo <strong>di</strong> enunciati linguistici<br />

che, anziché descrivere la realtà, compiono un’azione. l’esempio classico<br />

è la formula ‘io ti sposo’. enunciarla in circostanze appropriate (ossia in<br />

un contesto cerimoniale legittimo e alla presenza <strong>di</strong> testimoni) coincide<br />

col compiere effettivamente l’azione <strong>di</strong> sposarsi, con una serie <strong>di</strong> conseguenze<br />

nel mondo extra-linguistico. Questi enunciati, che austin chiama<br />

«performativi», funzionano sulla base <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> convenzioni sociali<br />

e culturali accettate. agli inizi della sua elaborazione teorica austin li<br />

oppone ai «constativi» (che semplicemente descrivono la realtà) e sottolinea<br />

come, a <strong>di</strong>fferenza dei constativi, gli enunciati performativi non possano<br />

essere giu<strong>di</strong>cati per il loro valore <strong>di</strong> realtà. in altri termini, un atto<br />

linguistico non può mai essere vero o falso; può solo riuscire o non riuscire<br />

(a seconda che le convenzioni siano o no rispettate), cioè essere «felice»<br />

o «infelice». in un secondo momento, sempre nel corso delle lezioni<br />

<strong>di</strong> Harvard, austin sviluppa però il concetto <strong>di</strong> «atto linguistico» (speech<br />

act) per meglio descrivere il carattere attivo delle enunciazioni linguistiche,<br />

ossia il fatto che le parole fanno cose. gli atti linguistici non sono però

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