biblioteca di studi di filologia moderna – 10 - Firenze University Press
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32<br />
federica frabetti<br />
più nettamente contrapposti ai constativi; anzi, austin osserva che anche<br />
gli enunciati constativi sono soggetti a con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> felicità/infelicità perché<br />
devono anch’essi essere ‘performati’ (felicemente o meno) all’interno<br />
delle convenzioni del linguaggio. in altre parole il confine tra constativo<br />
e performativo (e quin<strong>di</strong> tra le coppie vero/falso da una parte e felice/infelice<br />
dall’altra) si rivela <strong>di</strong>fficile da mantenere. nonostante egli tenti <strong>di</strong><br />
in<strong>di</strong>viduare un «performativo puro» o «esplicito» (del tipo ‘io ti sposo’),<br />
austin si trova davanti a molte <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> classificazione, e risolve <strong>di</strong><br />
considerare tutto il linguaggio come una forma <strong>di</strong> azione, e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere<br />
e analizzare, per ogni enunciazione, tre <strong>di</strong>fferenti aspetti: locutivo (che<br />
in<strong>di</strong>ca la funzione referenziale del linguaggio), illocutivo (ossia le conseguenze<br />
che l’atto linguistico produce per il solo fatto <strong>di</strong> essere eseguito, ad<br />
esempio persuadere) e perlocutivo (l’effetto prodotto dall’atto linguistico<br />
sull’ascoltatore, che può <strong>di</strong> fatto non essere persuaso). non mi è possibile<br />
qui addentrarmi nella specificità della teoria <strong>di</strong> austin; quello che importa<br />
è però sottolinerare (e a questo proposito il lavoro <strong>di</strong> loxley è importante)<br />
come austin riconosca carattere <strong>di</strong> azione a tutto il linguaggio <strong>–</strong> un aspetto<br />
del suo pensiero che è stato messo in parentesi dalla ‘narrativa standard’<br />
sulla performatività 5 , ossia <strong>–</strong> si potrebbe <strong>di</strong>re <strong>–</strong> dalla ‘vulgata’ del canone<br />
della performatività 6 .<br />
Voglio soffermarmi ora proprio sulla rilettura che loxley propone della<br />
teoria degli atti linguistici <strong>di</strong> austin. obiettivo <strong>di</strong> loxley <strong>–</strong> che segue<br />
in questo stanley cavell (2002) <strong>–</strong> è restituire austin al contesto filosofico<br />
angloamericano degli anni cinquanta. austin stu<strong>di</strong>a le <strong>di</strong>namiche del<br />
linguaggio ‘or<strong>di</strong>nario’ per tentare <strong>di</strong> uscire da quella che egli chiama ‘fallacia<br />
descrittiva’ (descriptive fallacy), ossia dall’erronea assunzione che il<br />
linguaggio sia principalmente descrittivo, dunque constativo <strong>–</strong> assunzione<br />
che egli attribuisce alla cornice filosofica del positivismo logico. È in<br />
questo contesto filosofico che il lavoro <strong>di</strong> austin (che tra l’altro si richiama<br />
esplicitamente alla ‘continentale’ fenomenologia husserliana proprio<br />
contro il positivismo logico e il pensiero analitico anglosassone) deve essere<br />
compreso. la rilettura <strong>di</strong> austin proposta da cavell, tuttavia, non è<br />
stata certamente una delle più influenti nell’ambito della filosofia del linguaggio.<br />
assai più famosa <strong>–</strong> e solidamente canonizzata in ambito analitico<br />
<strong>–</strong> è la rielaborazione <strong>di</strong> austin in senso normativo operata da John<br />
searle. in altre parole, il canone della performatività qui sembra <strong>di</strong>vidersi,<br />
dando luogo a molteplici rivoli, uno dei quali parte dalla riorganizzazione<br />
astratta e sistematica della teoria <strong>di</strong> austin in una pragmatica universale<br />
proposta da searle nei suoi due fondamentali lavori del 1969 e del 1979.<br />
intento <strong>di</strong> searle in queste opere è produrre una teoria del linguaggio come<br />
pratica e come interazione tra parlanti. searle continua a considerare<br />
l’atto linguistico come unità <strong>di</strong> base del linguaggio e trova nel pensiero <strong>di</strong><br />
austin (che pure a suo avviso manca <strong>di</strong> ‘generalità’) elementi sufficienti a<br />
fondarne una teoria normativa. nuovamente, non posso qui addentrarmi<br />
nella <strong>di</strong>scussione delle specifiche tassonomie elaborate da searle <strong>–</strong> e<br />
tuttavia voglio sottolineare ancora come loxley rilegga searle a fronte <strong>di</strong>