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biblioteca di studi di filologia moderna – 10 - Firenze University Press

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38<br />

federica frabetti<br />

linguaggio è performativo. e la replica <strong>di</strong> butler potrebbe essere riassunta<br />

come: non solo, ma il linguaggio è performativo al massimo grado proprio<br />

quando la sua performatività è meno esplicita, e ad<strong>di</strong>rittura quando non<br />

è nemmeno articolata come linguaggio 21 . Per sedgwick sono stati derrida<br />

e butler ad estendere quella che per austin era una particolare classe <strong>di</strong><br />

enunciati linguistici a ‘tutto il linguaggio’ e ad<strong>di</strong>rittura al mondo extralinguistico<br />

<strong>–</strong> non solo, ma sedgwick considera questa una mossa tipica<br />

della teoria, funzionale ai suoi scopi anti-essenzialistici. in questo modo,<br />

d’altra parte, la ‘teoria’ rivelerebbe anche i limiti del suo progetto <strong>di</strong> pensiero,<br />

articolato esclusivamente a livello epistemologico e coincidente con<br />

l’ossessivo smascheramento del pensiero dualistico.<br />

È ormai chiaro che quella <strong>di</strong> sedgwick non è che una delle possibili<br />

narrazioni della formazione del canone della performatività <strong>–</strong> che loxley<br />

(2007), ad esempio, non sembra con<strong>di</strong>videre appieno. abbiamo anche visto<br />

sopra come ogni rilettura delle filiazioni <strong>di</strong> pensiero austin-derridabutler<br />

finisca in realtà per provocare uno spostamento del canone della<br />

performatività. mi sembra importante ora sottolineare brevemente due<br />

aspetti del pensiero <strong>di</strong> sedgwick.<br />

in primo luogo, il canone <strong>di</strong> quella che sedgwick chiama «teoria» è in<br />

realtà la versione data da sedgwick della vulgata del canone della performatività.<br />

alla vulgata sedgwick contrappone un suo canone della performatività<br />

che cerca un’alternativa al pensiero dualistico non nel suo<br />

smascheramento ma tramite l’utilizzo <strong>di</strong> categorie <strong>di</strong>verse, in uno «spazioso<br />

agnosticismo» che includa sempre più <strong>di</strong> due elementi (e qui il ricorso<br />

a tomkins è fondamentale). in particolare, sedgwick si rifiuta <strong>di</strong> scegliere<br />

tra il mantenimento dell’opposizione performativo/constativo e l’estensione<br />

del performativo a tutto il linguaggio, e propone invece il concetto <strong>di</strong><br />

«peri-performativo», nel quale riversa tutta una serie <strong>di</strong> enunciazioni che<br />

funzionano in virtù del loro essere <strong>di</strong>verse dal performativo «puro», ma<br />

«tangenti» ad esso 22 . non è qui possibile <strong>di</strong>scutere nei dettagli il senso e<br />

le implicazioni della proposta <strong>di</strong> sedgwick, soprattutto a fronte delle teorie<br />

<strong>di</strong> austin. un secondo punto però deve essere sottolineato, e cioè che<br />

per sedgwick il canone della ‘teoria’ (che qui sembra all’incirca coincidere<br />

con la vulgata della performatività) tenderebbe a interpretare tutta la<br />

realtà, anche quella non-linguistica, secondo categorie linguistiche, e ad<br />

«assumere gli aspetti non verbali della realtà sotto l’egida del linguistico» 23 .<br />

anche in questo caso, non è questo il luogo per <strong>di</strong>scutere i limiti e le conseguenze<br />

<strong>di</strong> questa affermazione <strong>di</strong> sedgwick. mi limito qui a suggerire<br />

brevemente che il <strong>di</strong>battito sul confine tra linguistico e non-linguistico è<br />

alla ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> molti frainten<strong>di</strong>menti teorici non solo del concetto <strong>di</strong> performatività,<br />

ma anche della teoria queer e della pensiero stesso <strong>di</strong> derrida<br />

sul segno linguistico. come abbiamo visto in precedenza <strong>–</strong> e come derrida<br />

specifica ulteriormente ad esempio in Sulla grammatologia (1976), è<br />

necessario avere un senso dell’oralità per avere un senso della scrittura <strong>–</strong><br />

ossia, è necessario avere un senso della permanenza del segno linguistico<br />

per poterlo riconoscere come segno. <strong>di</strong> più, possiamo avere il senso del-

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