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Il destinatario dell'informazione sanitaria - Trentino Salute

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<strong>Il</strong> <strong>destinatario</strong> dell’informazione <strong>sanitaria</strong>10non esclude affatto che le personemalate si interroghino su di sé. Nonesclude per nulla il fatto che le personeesposte a patologie gravi e insistentitalora non sappiano più chisiano. Per esempio, non si ritrovinopiù in ciò che sono diventate, sinoa faticare a riconoscere come “proprio”quel corpo che talvolta sembraprocedere per conto suo, senzaobbedire loro più. Con tale disagioperò esse rivendicano proprio il loroessere: sono proprio “loro”, infatti,quelle che percepiscono quel disagio.Sono ancora “loro” quelle cheesprimono le proprie scelte. E nonqualcun’altro, anche se in un certosenso non sono più quelli che untempo erano. 1La malattia mette alla prova lenostre forze ma, tranne che in alcunicasi, non mette in discussionese siamo o non siamo una identitàpersonale. Neppure il carattere burocratico,standardizzato delle cure,così aspramente criticato, di persé è segno della scomparsa dellanostra identità di curati. <strong>Il</strong> fattoche talora le cure abbiano favoritol’insorgere di pratiche, considerateda chi le riceve “impersonali”,generando quindi nei curati obiezionie resistenze, ci attesta chequelle persone, proprio con il loro“resistere” ci ricordano del loro“esistere”, del loro voler preservarela propria identità, quella identitàesposta che essi ancora sono e chenon per questo cessa di cambiaredi continuo.Ora è possibile porre tra parentesiper il discorso qui in oggettola questione di come la malattiapossa trasformare radicalmente lapercezione dell’identità del soggettostesso. Come essa lo esponga alfaticoso compito di ricostruire inparte una identità diversa, rispondentealle condizioni da questivissute in quella situazione. Per laprosecuzione dell’argomentazionepossiamo accontentarci del fattoche la persona malata, non cessaperché è malata di essere unaidentità, un “chi” di individuale.Pur sapendo però che si tratta diun “chi” destinato a cambiare. 2 Lapersona, infatti, durante la malattiapotrà cambiare la sua identità,potrà modificarla, spesso senzarendersene conto. Difficilmente,però accetterà di essere trasformatain una serie di nomi e categorie,senza avere la possibilità di farepropri tali nomi, di integrarli conla propria percezione di sé. Non cipare azzardato affermare dunqueche il paziente, almeno dal suopunto di vista, si sente ancora unpaziente, dove l’espressione “un”non sta in luogo di “uno qualsiasi”,ma di “quello stesso, quell’uno” checiascuno sente di essere, pur rendendositalora conto che qualcosain lui sta cambiando. È probabileallora che il paziente sia anchequalcosa d’altro, per esempio un“cittadino”, un “utente”, un “cliente”...ma che sia un “uno” e non un“nessuno”, per quanto esposto alrischio di diventarlo. Per il momento,è quanto basta per cominciarela nostra riflessione.Nel trattare la questione del“chi”, allora, ci si preoccuperà diverificare se sia oggi possibile (ecome) una integrazione tra chinoi siamo e cosa gli altri diconoProvincia Automa di Trento - Punto Omega n. 24

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