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Il destinatario dell'informazione sanitaria - Trentino Salute

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Comunicazione e “silenzio terapeutico”88Una prima teoria può esserechiamata essenziale o essenzialista:il dovere di dire la verità è una fondazionedi tipo deontologico (“allaKant”), quindi è insito nella stessastruttura dell’atto della comunicazione,poiché la comunicazionestessa di qualcosa è l’adeguamentodell’intelletto alla realtà: non si puòimbrogliare.Una seconda teoria di fondazionedella verità è quella funzionale: cisono interessi in gioco e pertanto sidice quella verità che serve a quegliinteressi. Non è un fatto del tuttonegativo o un uso utilitaristico dellacomunicazione: ci sono interessi chevanno tutelati e questa, per qualchesoggetto, può essere una ragionesufficiente per dire o per non dire.Un terzo approccio volto allacomprensione della teoria della veritàrisiede invece nella fondazionerelazionale: non c’è il dovere dicomunicare, né un interesse da perseguireattraverso una determinatacomunicazione, ma c’è il soggettoo i soggetti che, attraverso il loroparlarsi, entrano in una relazionereciproca. Questa terza modulazionefondativa della verità riveste moltaimportanza nell’ambito dell’atto medico,dove la storia tormentata delrapporto medico-paziente ci porta aproprio a questa indicazione della verità,da contestualizzare nella chiavedi lettura relazionale. La verità dadire o da non dire al paziente nonè legata a un qualche interesse nèad alcuni doveri (ai quali si possanotrovare deroghe), ma è legata a quellastoria di rapporto consumata nelbreve o nel lungo arco di di tempouna terapia, all’interno della strutturadel rapporto medico-paziente o,in termini più ampi, del rapporto tratutti gli attori convergenti: il medicoe le professioni sanitarie, il paziente,il suo contesto familiare e sociale.Nello stabilire questa relazione, cisi chiede quanto di verità e quantodi non verità dire.Siamo quindi giunti al terzoverbo: tacere. Nell’esporre la teoriarelazionale della verità ho fattoriferimento alla verità da dire oda non dire. <strong>Il</strong> “non dire” non ènecessariamente qualcosa che ledeil tema dell’autonomia, perchénella svolta antropologica dell’illuminismosi trova necessità diinformazione, ma anche necessità didosaggio dell’informazione stessa. Isoggetti di autonomia che entranoin relazione tra di loro devono sapervalutare quale sia quella veritàche, se fosse un dovere dire a ognicosto, sarebbe la verità della parolae non dello spirito. Basti pensarealla metafora del Vangelo: le parolepossono uccidere, mentre lo Spiritodà vita. Qual è lo spirito? Quellodi una giusta, sana, terapeutica esanante relazione tra tutti gli attoriche entrano in gioco nella dinamicadell’atto medico.Per tale motivo, si deve rivendicareun riscatto e una dignitàdel “non dire”, così come di quelloche appartiene all’emisfero del“non fare”, del tra-lasciare. Si èfatta l’abitudine, soprattutto in unavisione quantitativa delle nostrestrutture antropologiche, a unamedicina del “fare”, nella considerazioneche il “non fare” sia il negativo,o una sorta di controparte delProvincia Automa di Trento - Punto Omega n. 24

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