<strong>Il</strong> <strong>destinatario</strong> dell’informazione <strong>sanitaria</strong>16venza, l’uomo non sarebbe in gradodi sopravvivere. La sua condizionefisica è quella di un essere nudo,inerme, minacciato dalle fiere edalla natura. <strong>Il</strong> ricorso alla tecnicatale come lo abbiamo configurato,però, non è solo la risposta a unapaura costitutiva, quella di esseresopraffatti dal mondo, non è solouna condizione per poter esistere,per continuare a farlo, ma probabilmenteil modo proprio dell’esseredell’uomo. L’uomo nasce, quandodiviene l’uomo della téchnê, l’homopoieticus (da poíêsis, produzione, iltipo di azione in cui si estrinsecail sapere umano della téchnê). Talecaratteristica più che aggiunta ècostitutiva almeno tanto quanto loera quella di dover essere accolto,sostenuto, accudito, curato a cuiil mito precedente aveva fattoriferimento.Anche in questo caso, come nelprecedente mito, siamo di frontea una ambivalenza. La tecnica,pur essendoci costitutiva, può superareuna certa soglia e diveniredistruttiva dell’ambiente e dell’uomostesso. 8Per quanto dunque tale dimensionesia fondamentale, essa nonpare ancora essere sufficiente.Platone ci lascia presagire, infatti,che essa abbia necessità di unaintegrazione. Platone accennaqui alla sapienza politica, allacapacità di stare insieme, che è infondo un invito a esplorare il terzoracconto che avevamo anticipato,quello di Babele. 9 Che cosa maipotrà aggiungere il racconto dellatorre di Babele a quanto abbiamoevidenziato? A mio parere, il contestoentro cui oggi ci muoviamoe la necessità di introdurre quellasapienza politica a noi ignota.Babele“Tutta la terra aveva una sola linguae le stesse parole”. In questocaso gli uomini esistono già. Nondevono nascere. Ciò che qui siappresta a nascere è la capacità distare con gli altri uomini, di vivereinsieme ad altri, diversi da noi.In fondo, proprio quella sapienzapolitica di cui si lamentava l’assenzanel mito precedente. Anchein questo caso, l’evento prende lemosse da un movimento, da unaemigrazione. L’uomo è alla ricercadi un luogo dove poter vivere. Nonbasta sopravvivere. Una volta giuntoin una pianura ritenuta adatta,l’uomo intraprende il progetto dicostruire una città, una torre dovepoter vivere. Anche qui ritorna laquestione del nome, che è a untempo quella dell’identità e delpossesso: “Venite, costruiamociuna città e una torre, la cui cimatocchi il cielo, e facciamoci unnome per non disperderci su tuttala terra”. Sappiamo come è finita.Dio avrebbe impedito agli uominidi realizzare tale progetto disperdendolisulla terra.<strong>Il</strong> progetto della costruzionedella torre-città ci ricorda la dimensionedella téchnê insita nell’uomoe ci mostra qui come essa, se presadi per sé, possa essere espostaalla alienazione dell’uomo stesso.L’uomo difatti sembra dimenticarele ragioni per cui sta costruendo.Edifica la costruzione a fine in sé. Sialiena nel costruire. ProbabilmenteProvincia Automa di Trento - Punto Omega n. 24
non riesce nemmeno più ad abitareinsieme ad altri la sua torre, tantoè preso nella sua impresa, nella suacostruzione. 10Anche la medicina oggi, avolte, ci sembra alienata, avendoincrementato esponenzialmentele proprie capacità tecniche, maessendo anche diventata muta difronte alla questione del sensodi ciò che con essa si sta realizzando.<strong>Il</strong> suo silenzio, a volte,sembra attestare la sua incapacitàdi rispondere a questi interrogativicon quegli stessi strumenti chene hanno garantito la grandezzae la fortuna. Anch’essa con il suolinguaggio e le stesse parole, nonsa affrontare gli altri problemi,nati dall’interrelazione con gli altri,che quel linguaggio, spesso quelloscientifico-matematico, non riescea cogliere o trasformare in modosoddisfacente. Nel racconto di Babele,al desiderio dell’uomo di farsiuna casa, di abitare, di rafforzarela sua identità, fa da contrappesoil gesto divino con il quale l’uomoviene disperso, un gesto che vienepresentato quasi nei termini di unapunizione. Dio, infatti, punirebbegli uomini per la loro superbia, peril fatto di essersi voluti fare similia lui, di aver voluto giungere sinoal cielo.Eppure il gesto divino, potrebbeanche essere inteso diversamente,nei termini di un invito, per esempio.È probabile, difatti, che l’uomopossa uscire dalla sua alienazione,in questo caso, quella di aver scissotra loro i gesti di cura e di prendersicura, le istanze etiche e le tecnichedi quel gesto originario. E lo possafare, per esempio, disperdendosi,apprendendo diverse lingue,imparando a stare con gli altri inmodi diversi. Allora questo è unracconto che, più che simboleggiareuna punizione, ci sembra esortareal confronto, al pluralismo, a unaconvivenza diversa, al rispetto dell’altro,all’apprendimento di nuovilinguaggi e alla capacità di costruirecomunità e identità rispettosedelle differenze di ciascuno. È, infondo, quello che stiamo cercandodi fare oggi, anche con la medicinadi oggi. Ed è anche quello chefacciamo fatica a realizzare. Forseè l’edificio che stiamo costruendo anon essere del tutto adatto. Forseè il senso del nostro fare che devediventare oggetto di riflessione.Ma, forse, sono anche i molti nomicon cui abbiamo a che fare che cipossono dare degli spunti. 11In ogni caso, se la cura è il risultatodi due tensioni antropologichecostitutive (che abbiamo richiamatocon il mito di Cura e quello diPrometeo, e che abbiamo provvisoriamentenominato con le voci“istanze etiche” e “tecniche”), ilrischio di scivolare in un estremo onell’altro è forse superabile, aprendotale sforzo alla pluralità dellelingue, dei valori, dei linguaggi.Perché non ci si dimentichi che ingioco è la nostra capacità di esserenoi stessi, ma anche di stare congli altri, un qualcosa di altrettantofondante per l’uomo a motivo dellasua vocazione relazionale.Quanto sin qui raccolto ci permettedunque di provare a interpretarelo spazio di cura entro cuioggi viviamo ed entro cui, non va17Provincia Automa di Trento - Punto Omega n. 24
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