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Le vicende del confine orientale ed il mondo della scuola

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<strong>Le</strong> <strong>vicende</strong> de L <strong>confine</strong> orient a <strong>Le</strong> <strong>ed</strong> i L <strong>mondo</strong> de LLa s cuo La • 163<br />

e spesso impressionanti per dimensioni, che parlavano di sofferenze, di resistenze<br />

passive, di um<strong>il</strong>e e dolente abnegazione di fronte alla forza degli eventi bellici.<br />

Per questo motivo, a nostro parere, <strong>il</strong> ricordo degli infoibamenti <strong>del</strong> 1943 e <strong>del</strong><br />

1945, nonché <strong>del</strong>le migrazioni forzate a cavallo <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong> secolo, non ha<br />

avuto ospitalità nel discorso pubblico <strong>del</strong> nostro Paese: come <strong>il</strong> racconto <strong>del</strong>le<br />

vittime dei bombardamenti anglo-americani al Sud, come la memoria <strong>del</strong>le popolazioni<br />

rastrellate e spesso brutalizzate dai nazisti lungo la dorsale appenninica,<br />

come la testimonianza <strong>del</strong>la desistenza, rispetto ad ogni guerra e soprattutto<br />

rispetto all’alleanza italo-t<strong>ed</strong>esca, messa in campo dagli internati m<strong>il</strong>itari italiani.<br />

Ad un Paese che voleva sentirsi vincitore e percepirsi diffusamente antifascista<br />

– e doveva sentirsi vincitore e percepirsi diffusamente antifascista se voleva dare<br />

sostanza e alimento alla altrimenti estrinseca forma <strong>del</strong>la costituzione repubblicana<br />

e alla nuova stagione democratica – gli infoibati, i profughi <strong>del</strong>l’Istria e<br />

<strong>del</strong>la Venezia Giulia, nonché, per dirla con <strong>il</strong> testo istitutivo <strong>del</strong> «Giorno <strong>del</strong> Ricordo»,<br />

tutta la «complessa vicenda <strong>del</strong> <strong>confine</strong> <strong>orientale</strong>» (quello italo-jugoslavo,<br />

almeno a partire dal primo dopoguerra), rammentavano cose spiacevoli: che<br />

l’antifascismo poteva essere anche violento, revanscista e nazionalista, come nel<br />

caso <strong>del</strong> movimento di liberazione jugoslavo e <strong>del</strong>la sua politica di occupazione<br />

sconfinante nella pulizia etnica; che l’Italia la guerra l’aveva fondamentalmente<br />

persa; che gli italiani, presunta «brava gente», si erano diffusamente resi complici,<br />

nel ventennio mussoliniano di eradicazione <strong>del</strong>l’identità slava e nel quadriennio<br />

di occupazione fascista-nazista <strong>del</strong>le terre <strong>del</strong>la Slovenia e <strong>del</strong>la Croazia,<br />

di politiche aggressive e di veri e propri crimini di guerra. Questo dicevano,<br />

e dicono ancora oggi, le storie identificate con la data <strong>del</strong> 10 febbraio, e i ricordi<br />

da esse promananti.<br />

Rispetto alla lunga stagione <strong>del</strong> dopoguerra, cr<strong>ed</strong>iamo che sia maturo, soprattutto<br />

al cospetto <strong>del</strong>le nuove generazioni e nella concreta pratica didattica, <strong>il</strong><br />

tempo per una riconsiderazione laica e solidale di tutte le memorie, anche quelle<br />

non eroiche <strong>ed</strong> esemplari, ma profondamente umane, che <strong>il</strong> secolo dei totalitarismi<br />

e <strong>del</strong>le distruzioni di massa ci ha lasciato in er<strong>ed</strong>ità. Nella speranza<br />

di consegnare alle generazioni emergenti una lettura <strong>del</strong>la storia sfaccettata <strong>ed</strong><br />

inclusiva, nella quale tutti possano riconoscersi, e non l’insopportab<strong>il</strong>e zavorra<br />

di un passato che non passa.<br />

inter venti<br />

c r<strong>ed</strong>iamo che<br />

sia maturo <strong>il</strong><br />

tempo per una<br />

riconsiderazione<br />

laica e solidale<br />

di tutte<br />

le memorie

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