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Le vicende del confine orientale ed il mondo della scuola

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l e storie<br />

l e <strong>vicende</strong> <strong>del</strong> c onfine orient ale <strong>ed</strong> <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> <strong>del</strong>la s cuola • 213<br />

istriano da sempre, esodato a t rieste <strong>ed</strong> emigrato in a ustralia.<br />

una <strong>del</strong>le tante storie rimasta fuori dalla storia: r enato f erlin<br />

In un clima di attesa era grande l’incertezza che si respirava in Istria dopo la guerra.<br />

Pola controllata dagli anglo-americani, <strong>il</strong> resto <strong>del</strong>la regione occupata dalle truppe<br />

jugoslave. Incertezza e terrore, perché d<strong>il</strong>agava la caccia al vinto. E per l’equazione<br />

allora imperante, vinto significava italiano, italiano corrispondeva a fascista,<br />

e quindi da malmenare. Anche i bambini risentivano <strong>del</strong>la vibrazione di inquietudine<br />

trasmessa dai genitori.<br />

Questo <strong>il</strong> quadro <strong>del</strong> Paese che si accingeva ad abbandonare, tracciato nel ricordo<br />

da Renato Ferlin, nato a Sanvincenti, a 25 ch<strong>il</strong>ometri da Pola, esattamente al<br />

centro <strong>del</strong>l’Istria meridionale – come precisa. Attualmente residente a Melbourne.<br />

Aveva 19 anni quando decise di portare a compimento <strong>il</strong> progetto di fuga atteso<br />

da anni. Ero arrivato a quella determinazione già molto tempo prima – racconta<br />

– quando mi ritrovai a crescere in un Istria per la maggior parte svuotata <strong>del</strong>la propria<br />

gente, sostituita da una popolazione arrivata da ogni parte <strong>del</strong>la Balcania, un<br />

<strong>mondo</strong> <strong>ed</strong> una cultura totalmente estranei ai nostri. Tutti i giorni scappava qualcuno.<br />

E anch’io volli ricongiungermi alla mia identità.<br />

Era l’ottobre <strong>del</strong> 1958 e per la prima volta le autorità jugoslave avevano dato <strong>il</strong><br />

permesso agli istriani di incontrarsi per mezza giornata al <strong>confine</strong> di Gorizia con<br />

i parenti residenti in Italia. Soltanto i genitori erano al corrente dei suoi piani; le<br />

sorelline, troppo piccole per comprendere, avrebbero potuto piangere o parlarne<br />

a <strong>scuola</strong>. Renato finse di doversi incontrare con una zia di Trieste. Sul treno<br />

<strong>il</strong> conduttore, <strong>il</strong> bigliettaio e <strong>il</strong> poliziotto che interrogava sui motivi <strong>del</strong> viaggio.<br />

C’erano stati molti arresti. Finse di essere parte di un gruppo, che peraltro era<br />

all’oscuro dei suoi piani. Arrivato al <strong>confine</strong> goriziano – lato jugoslavo – s’incontrò<br />

con una coppia di amici incaricati di aiutarlo. Su di una Vespa fecero una<br />

piccola ricognizione lungo la linea confinaria, per individuare <strong>il</strong> sito più adeguato<br />

alla fuga. Studiati i turni di sorveglianza <strong>del</strong>la m<strong>il</strong>izia, la sera – saranno state<br />

le 21.30 – attraverso i campi riuscì a guadagnare <strong>il</strong> territorio italiano. Nel timore<br />

di sbagliare percorso, decise di non avventurarsi più oltre nella notte. Prima<br />

di addormentarmi in un campo di granoturco, recitai un Padrenostro, ringraziando<br />

Dio per essere riuscito ad attraversare <strong>il</strong> <strong>confine</strong> con la pelle intera. L’unica cosa<br />

inter venti

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