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Le vicende del confine orientale ed il mondo della scuola

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inter venti<br />

a t rieste non<br />

succ<strong>ed</strong>e nulla:<br />

è l’unica fra<br />

le grandi città<br />

<strong>del</strong>l’impero<br />

(v ienna,<br />

budapest,<br />

praga,<br />

v enezia,<br />

m<strong>il</strong>ano) in cui<br />

la rivoluzione<br />

non scoppia<br />

28 • studi e documenti de GLi anna Li de LLa pubb Lica istruzione<br />

italiana dal punto di vista politico, perché la nazione italiana non è stata ancora<br />

inventata, e le fe<strong>del</strong>tà quindi vanno a San Marco o agli Asburgo, di solito antagonisti<br />

gli uni con gli altri. Parallelamente, la rivalità è molto forte anche fra le<br />

élites italiane, ad esempio fra quelle triestine e quelle veneziane.<br />

Dietro invece i gruppi linguistici sloveni e croati non sta una cultura alta <strong>ed</strong> essi<br />

non esprimono una classe dirigente, perché ricoprono l’ultimo gradino <strong>del</strong>la<br />

scala sociale. La conseguenza è ovvia: quando dopo la conquista napoleonica, e<br />

poi la restaurazione, comincia a sv<strong>il</strong>upparsi un discorso nazionale, i primi che lo<br />

recepiscono sono gli italiani, perché sono gli unici a disporre di una classe dirigente<br />

in grado di farlo proprio. Ciò avviene nel corso <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong>l’Ottocento,<br />

con differenze però molto significative, perché nell’area giuliano-dalmata<br />

possiamo in realtà distinguere molto bene tre fasce: la Dalmazia, l’Istria e<br />

Trieste, caso al quale assomiglia molto, se pur su scala minore, quello di Fiume.<br />

Somiglianze e differenze le v<strong>ed</strong>iamo esprimersi molto bene in quel grande momento<br />

<strong>del</strong>la verità che è la crisi <strong>del</strong> 1848.<br />

In Istria, già appartenente a Venezia, la tendenza è quella risorgimentale, come<br />

nel resto d’Italia: non ci sono le condizioni pratiche per fare la rivoluzione, ma<br />

i primi gruppi di patrioti guardano con commozione alla nuova Repubblica di<br />

San Marco, vogliono battersi per l’Italia unita e, se non possono fare altro, vanno<br />

a difendere Venezia. A Trieste invece non succ<strong>ed</strong>e nulla: è l’unica fra le grandi<br />

città <strong>del</strong>l’Impero (Vienna, Budapest, Praga, Venezia, M<strong>il</strong>ano) in cui la rivoluzione<br />

non scoppia. Soltanto, alcune decine di giovanotti guidati da un giornalista<br />

veneziano cercano di inscenare una manifestazione tricolore, ma vengono<br />

dispersi non dalla forza pubblica, ma dai facchini <strong>del</strong>le ditte di import-export.<br />

Dopo di ciò, dal momento che in tutta Europa è scoppiata la libertà e tutti parlano<br />

di diritti nazionali, gli esponenti più autorevoli <strong>del</strong>la classe dirigente triestina<br />

si consultano e dicono: anche noi siamo una nazione, però non siamo né<br />

italiani né t<strong>ed</strong>eschi: siamo cosmopoliti. Vale a dire, siamo una nazione non nazionale,<br />

cosa che, fra le varie esperienze <strong>del</strong> ’48 europeo, è una <strong>del</strong>le più curiose.<br />

Guardate, però, che non si tratta affatto soltanto di una bizzarria, ma anzi di un<br />

segnale importante di come, alla metà <strong>del</strong> secolo, i giochi sono in realtà ancora<br />

aperti e la traiettoria che avrebbe condotto alla generalizzazione degli Stati nazionali<br />

non è per niente scontata. Dietro quella strana affermazione sta infatti uno<br />

dei più potenti gruppi imprenditoriali <strong>del</strong>l’Impero, che a qual tempo è ancora la<br />

principale potenza continentale assieme alla Francia; e quel gruppo di imprenditori<br />

e politici ha un disegno strategico molto chiaro. Si tratta – nientemeno –<br />

di rispondere all’evidente crisi di legittimità <strong>del</strong> sistema creato dal Congresso di<br />

Vienna, sostituendolo non con una galassia di Stati nazionali, ma con un processo<br />

di unificazione continentale che parta non dalla politica ma dal mercato.<br />

Usando un termine attuale (all’epoca si parlava di «Stato commerciale») potremmo<br />

chiamarlo un mercato comune europeo comprendente tutta l’area t<strong>ed</strong>esca,<br />

i domini asburgici, l’Italia e proiettato verso i Balcani. Questa grande area cen-

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