Rapporto di ricerca nella regione Veneto106efficace sulla repressione del fenomeno.È difficile pensare che l’esistenza di unanorma ad hoc, relativamente a questotipo di condotte, renda più facile eventualiattività di contrasto, nel senso che non èpossibile creare un collegamento direttotra il fatto che le MGF non emergano e lanon previsione di una fattispecie specificaper questo tipo di comportamento.Diciamo che al di là della norma espressaad hoc sulle mutilazioni <strong>genitali</strong>, per noi sitrattava di ricorrere alle norme utilizzabilidi fronte a lesioni gravi o gravissime,quindi bene o male per noi operatori diautorità giudiziaria, la norma è intervenutasemplicemente a specificare una condotta.Forse sul piano simbolico l’Italia ripudiaquesto tipo di attività e quindi va adesprimere questo disvalore con una norma adhoc che riguarda appunto le mutilazioni.Ma voglio dire che il nostro codice giàprevedeva il reato di lesioni gravi egravissime. Bisognerebbe lavorare forse piùsulla comunità nigeriana o piuttosto africana,in quanto è lì che avviene questo tipo diattività invasiva e lesiva, allora forse lavorarepiù su di loro, che non a livello investigativo.Diversamente un altro operatorericonosce che:La legge sicuramente è stata importanteperché ha portato alla luce questofenomeno che la massa delle persone nonconosceva, però forse bisogna intensificarel’attività di divulgazione, forse soprattuttodi sensibilizzazione nel comparto sanitario.La difficoltà ad applicare la norma e adintervenire sul fenomeno potrebbe esserecomprovata dall’esiguità della casisticagiudiziaria.Io penso che dipenda proprio dal fatto chequeste manovre, appartenendo appuntoalla sfera intima, sia di chi le riceve, siadella famiglia nella quale queste personevivono e sia anche da parte di chi le pratica,probabilmente sono fatti e comportamentiche queste persone preferiscono tenereriservati e quindi non vengono alla luce.Io capisco, non giustifico, ma comprendoquelli che per lunga tradizione, per cultura,pensano che sia giusto fare questo e lofanno. Per cui se lo fanno <strong>nelle</strong> loro realtà,dove spesso vanno a praticarle tuttosommato il fatto non è criminalmenteriprovevole, almeno per il nostroordinamento giuridico. Quello che mi lasciamolto perplesso, che mi turba, è il discorsoche da parte <strong>dei</strong> responsabili di questecollettività, ovvero delle persone raziocinantidi queste collettività, delle donne che sonotantissime e che non condividono questeprassi, non ci siano iniziative per segnalare,per denunciare. Perché loro sanno benissimochi è che pratica queste manovre, che lepratica a pagamento, con scarsissime tuteledi carattere sanitario, che lo fa in manieramolto rischiosa. Tutto questo non vienea galla, non si conosce, non si sa.Questo secondo me è grave, perché significache molta di questa gente non solo tollera,non solo vive queste situazioni quasigiustificandole, ma non fa assolutamentenulla per invertire l’ordine delle cose, non fanulla per ridurre questo fenomeno. Questonon è un rimprovero, è una constatazione.Le interviste fanno emergereun’aspettativa di collaborazione diversa,forse disattesa, soprattutto con il mondosanitario. Lo esprimono bene le paroledi un intervistato:Il personale sanitario, purtroppo, a sua volta,è affetto da un altro problema,che è costituito dal fatto che da anni ormaic’è una sorta di “medicina difensiva”.Nel senso che i medici sono molto spessopreoccupati delle rogne, <strong>dei</strong> problemi, neiquali sono costretti poi ad essere coinvoltise segnalano. Allora io ricordo spesso che ilmedico è un pubblico ufficiale e in quantotale ha l’obbligo del referto. Non è undesiderio, un optional, è un obbligo. Hannoil dovere di segnalare queste cose, di fare il
Rapporto di ricerca nella regione Veneto107referto. Il medico che non segnala, per me,è colpevole, è complice, è connivente.Allora bisognerebbe fare non solo operadi persuasione nei confronti <strong>dei</strong> responsabilidi queste varie comunità, che vivono sulterritorio italiano, ma anche fare operadi convincimento per la classe sanitaria,sempre col presupposto che si sia d’accordosul fatto che questi fatti sono gravementelesivi della libertà di una persona,quindi non tollerabili nel nostro Stato.Anche sul collegamento possibile tracomunità coinvolte in questo tipodi pratiche e livelli di delittuosità di altrotipo da parte di queste ultime, le opinionidivergono tra i soggetti interessatidalle interviste. È evidente <strong>nelle</strong> paroledi questo intervistato:Non c’è un collegamento, credo. Il problemaè trasversale e riguarda tutte quante le etnie.Perlomeno noi siamo abituati a seguirequesti filoni, si combatte la droga e sicombattono anche tutti quelli che gestisconola droga, si combatte il fenomeno quindi,indipendentemente dal fatto che sianodell’una o dell’altra etnia. Il dramma è che,ripeto, queste condotte, che attengono poialla sfera personale, non possono emergerese non ad opera di chi o le subisce o le fa.Naturalmente chi le fa non lo dice,chi le subisce non lo dice lo stesso, ed èdifficile che emergano.Ecco perché se c’è qualcuno - io continuoa battere il chiodo su questo punto - cheè responsabile di una collettività, di unacomunità, che risiede in Italia e chevuole vivere in Italia, nel rispetto delleleggi presenti in Italia, se queste personesi convincono obiettivamente del fattoche, indipendentemente dalle tradizioni,dalla cultura, il fatto è di per sé illecito,un reato, allora devono convincersi chedevono cominciare a far qualcosa ancheloro. Altrimenti poi non possono sperare inun’integrazione vera, perché un’integrazionevera, in Italia, non può avvenire se nonrispettando le regole presenti.In questo tipo di dichiarazioni è presenteanche un maggiore scetticismorispetto alla capacità delle azioni disensibilizzazione di incidere sul fenomeno.Non tutti i soggetti contattati vedonocome potenzialmente efficace rispettoalla conoscenza di questa pratica e alnostro modo di trattarla anche sul pianopenale la distribuzione di materialidi sensibilizzazione, ad esempio aglisportelli immigrazione delle questure onei centri di prima accoglienza, o ancoranei municipi e in qualche misura in tutti iluoghi che vengono toccati dai migranti.Diversamente invece viene guardatal’azione diretta sui mediatori culturali e suirappresentanti di comunità, che hannoun ruolo di trasmissione del sapere,ma anche di veicolazione delle condotte.Entra nel discorso anche la proposta del“rito alternativo”, vista come una soluzionedi possibile mediazione, di compromesso,dove il gesto simbolico, che sia simbolico,venga salvaguardato per salvaguardarele tradizioni delle culture, per mettere aposto le loro coscienze. Mentre il tuttonon si configura poi in una limitazionedella libertà sessuale.Un altro profilo interessante emerso nelcorso delle interviste riguarda la difficoltàdi accertare eventuali interventi di MGFquando la lesione non è così evidenteda poter essere qualificabile come certa.È un problema dichiarato anche daisanitari, molti <strong>dei</strong> quali hanno messo inluce la difficoltà di riscontrare la presenzadi MGF quando gli interventi si limitanoall’asportazione parziale del clitoride.Un caso due anni fa ha riguardato unaminore senegalese su cui si aveva lapresunzione che fosse stata mutilataai <strong>genitali</strong> e quindi è stato aperto unprocedimento penale, che però è statoarchiviato, in quanto la visita medico-legale
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