Una ricerca in Friuli Venezia Giulia170paese non rimaniamo mai soli, ci sono amici,c’è gente. La prima volta che lui è andatoa lavorare e io sono rimasta da sola, sonouscita dalla porta e non c’era nessuno e misono chiesta: ma che paese è questo?Ho detto a mio marito: non mi piace, chepaese è questo, io torno indietro. E lui mi hadetto: piano, piano capirai com’è la vita qui.I ricordi della vita passata, la nostalgiae la mancanza di punti di riferimentofanno sì che la tradizione, con tutte le sueimplicazioni, diventi l’unico ubi consistamdi queste persone.Molte donne africane che entrano inItalia con il permesso di soggiorno perricongiungimento familiare e che hannobambini piccoli non riescono in nessunmodo ad aprirsi alla nuova società.Il carico di lavoro familiare è tutto sulleloro spalle, poiché i mariti, conformementeai ruoli di genere tradizionali, noncollaborano o, pur volendo collaborare,non possono farlo per via degli impegnipesanti di lavoro. La donna è sola, privadella rete di sostegno familiare. Una donnasenegalese afferma:Con la stessa fatica che faccio qui perseguire due bambini, in Africa potreiallevarne cinque. Da noi è la famiglia, tuttala comunità, che si occupa <strong>dei</strong> bambini.Qui io sono sola.Questo aspetto della solitudine è presentein molte testimonianze. La donne chenon lavorano vivono molto isolate e tutteall’interno della propria famiglia ristretta.L’unico spazio di relazione sociale ècostituito dai propri mariti e da altri/eafricani/e residenti, non necessariamenteprovenienti dallo stesso paese.Spesso si dice che la solitudine è il prezzodella libertà. Se questo è vero, non loè certamente per le donne immigrate.L’isolamento e la frammentazione dellarete familiare allargata cui erano abituatenei paesi di provenienza non indebolisconoaffatto le pressioni sociali alle quali ledonne sono sottoposte. Sembra infatti cheil ruolo di alfieri della morale e custodidella tradizione, in assenza <strong>dei</strong> genitori,<strong>dei</strong> mariti, <strong>dei</strong> fratelli, delle zie, del capovillaggio, ecc. venga assunto dai membridella nuova comunità di riferimento,connazionali o africani provenientida altri paesi, che agiscono spietatamentecontro ogni scollamento dalla tradizionecontrollando i comportamenti delle“loro” donne.Molto eloquente è la testimonianza diuna mediatrice culturale sul caso di unagiovane eritrea che era stata de-infibulata:Lei era un po’ sconvolta, io l’ho vista anchedopo l’operazione, perché l’ha raccontataa qualche amica e queste sono andate adirlo a tutti i ragazzi dell’Eritrea che vivonoqui. Così ha subito una concentrazionedi attenzione, per il fatto che una ragazzava a fare questa operazione non è benvista, tutti domandano per quale motivoha fatto questa operazione…La de-infibulazione non è accettata,gli altri eritrei non l’hanno presa beneperché loro deducevano da questa notiziache questa ragazza, ora che è venuta inItalia ha cambiato costumi, invece dovevaessere sempre la stessa e vivere come inEritrea, sposando uno dell’Eritrea e solo almomento del matrimonio poteva fare questaoperazione, cioè aprire questa chiusura.La riprovazione sociale a cui erasottoposta la giovane donna era così forteche l’intervistata ha dovuto allontanarela ragazza dal gruppo e spostarla,in quanto rifugiata politica, in un’altra cittàper evitarle danni psichici:La ragazza reagiva in modo nervoso,qualche volta non mangiava, non si sentivaa suo agio. Si sentiva osservata da tutti.A volte invece lo scontro fra culture ècosì forte da produrre una sorta
Una ricerca in Friuli Venezia Giulia171di incapsulamento dell’identità, ovverodi appropriazione di segni distintivitradizionali, o presunti tali, al fine dirafforzare la propria identità differenziata.È il caso di alcune donne “tradizionaliste”,che di fronte al tema delle MGF rimarcanola loro autonomia e la loro dignitàculturale, come hanno fatto ad esempiole donne nigeriane con le quali ha tentatodi parlare delle MGF Carla Corso e di cuiabbiamo riferito in apertura.Ma questo atteggiamento tradizionalistalo ritroviamo anche in donne che siappropriano di segni distintivi comesimboli di libertà, ad esempio la sceltadi indossare il velo islamico anche quandoquesto costume non corrisponde a quellodel proprio paese di origine, né il velo eramai stato indossato prima. In questi casiassistiamo frequentemente al fenomenodella “invenzione della tradizione”messo in luce da Hobsbawm (1989).In molte altre situazioni, tuttavia,il rapporto con il nuovo mondo stimola<strong>nelle</strong> donne un genuino processo diemancipazione. Ciò avviene, come è ovvio,soprattutto nel caso delle donne chelavorano. Queste iniziano, a volte per laprima volta nella loro vita, a gestire dellerisorse autonomamente. Inoltre essesi espongono a un mondo diverso, conpossibilità e opportunitàdi autorealizzazione che non pensavanoesistessero. Nella testimonianza dellamediatrice congolese, per esempio:Ci sono donne che vogliono avere la lorolibertà, donne che sono venute qua con ilricongiungimento familiare, poi nonsi trovano più con il marito, non glipiace più, hanno visto quanto valgono qua,si sono emancipate. Queste donnecercano di fare un’evoluzione e dicono:mi faccio da sola, voglio vivere da sola,voglio la mia libertà, voglio gestireda sola i miei soldi, voglio, voglio, voglio.Se si separa dal marito è libera e può farequello che vuole.Il primo passo verso l’emancipazione èspesso traumatico e, come si vede,va a influire direttamente sugli equilibrifamiliari, provocandone a volte il collasso.La rottura con la tradizione e il processodi emancipazione sembra portino,in mancanza di una parallela presadi coscienza <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> e <strong>dei</strong> doveri fra iconiugi, alla disgregazione della famigliatradizionale. Emergono crisi familiari chenon si sarebbero verificate se le donneavessero continuato a subire passivamenteun rapporto di potere consolidato,senza metterlo in discussione proprioper la mancanza di proprie risorseeconomiche e sociali.Secondo la mediatrice, ancora, questipercorsi di emancipazione avvengonoproprio qui, in Italia, perchéè tutta un’altra società: una donna lo capiscegià per il fatto che può andare a lavorare,che può avere il proprio stipendio, mentreprima dipendeva da lui. Adesso qua puòandare con il suo bancomat a prelevare isoldi, e quindi è tutto diverso, ci sono tantecose di cui occorre tenere conto, se nongestisce bene i suoi soldi, può perdere ilcontrollo di sé e magari distruggere lasua famiglia.La migrazione è vissuta come una crescitae, soprattutto, incide fortemente sullacostituzione di una nuova identità.Essa sgancia, in molti casi, le personedalla comunità di appartenenza e nefavorisce la crescita individuale, con tutti idrammi connessi.Le donne emancipate (le donne “con ilbancomat”) ovviamente si allontananodalla tradizione e dai modelli dicomportamento consolidati quali le MGF.Anche le emancipate “moderate”, cheriescono a mantenere alcune strutturedell’identità e a modificarne altre senzagrossi traumi, si allontanano comunquedai modelli del passato. Nelle paroledi una donna africana:
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