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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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Una ricerca in Friuli Venezia Giulia164D. Ma lei, secondo te, perché non te loha detto?R. Penso per un problema di confidenza,perché conosco da poco questa persona,erano i primi contatti, forse più avanti,se continua la nostra relazione, allora credoche finirà per tirar fuori il segreto.D. Ma forse non te lo diceva perché tueri di un paese diverso dal suo o forseperché il fatto che tu fossi una mediatriceculturale le creava qualche problema nellacomunicazione diretta?R. Sì, c’era un problema di diffidenza.D. Ma legata a che cosa?R. Sicuramente al fatto che siamo didue paesi diversi e poi a lei sembrava stranoche io non sapessi queste cose,che io non so nulla di queste cose qua.Perché lei mi ha detto tu non sai….e allora non ha voluto andare avanti.Alla nigeriana sembrava strano che lacongolese non avesse avuto l’esperienzadelle MGF e non riusciva a parlarecon qualcuno che non condividesseempaticamente lo stesso segreto.Indubbiamente l’esperienza del taglioè vissuta con un forte impatto emotivo.A questo contribuisce probabilmentel’intensità emotiva legata al dolore che,vissuto simbolicamente in modo collettivo,va a definire l’identità e delimita i criteridi appartenenza al gruppo.Il tabù è presente anche in persone cheappartengono a classi sociali elevate eche, per mestiere e per cultura, vivono quiin contatto con molti immigrati.Per esempio, intervistando una mediatriceegiziana, veniamo a sapere che lei conoscela pratica, ma non sa definirla né in araboné in italiano. Infatti, cerca di esprimersiattraverso strumenti visivi, vorrebbespiegarmelo attraverso un disegno,ma poi con difficoltà descrive a parole iltipo di intervento. Ciò è molto singolare,poiché dimostra una scarsa conoscenzadella questione e uno scarso interesse adapprofondirla: si tratta di un argomentotabù, si sa che c’è, ma non se ne parla.La donna è una persona colta e questo èparticolarmente stridente.Che in generale le MGF siano unargomento tabù anche nella classe coltalo si capisce dal fatto che in un certomomento dell’intervista, quando sotto lamia sollecitazione la mediatrice egizianaincomincia a parlare della conoscenzadella pratica nel proprio nucleo familiare,emerge che la stessa madre è portatricedi MGF e che la sorella non ha sottopostole figlie a MGF solo perché si era nelfrattempo trasferita in Arabia Saudita,dove la pratica non viene richiesta dallasocietà, a ulteriore conferma che non sitratta di una pratica islamica, non essendomai menzionata nel Corano.La sovrapposizione cultura - società,che sempre è presente <strong>nelle</strong>testimonianze, si incardina piuttostonella prassi e nella tradizione religiosa,cioè nell’islamismo. Ma quando nellacomunità statuale islamica (come inArabia Saudita) questa prassi non ècontemplata, essa viene automaticamenteabbandonata. Probabilmente ciò nonavverrebbe, o perlomeno non in modotanto automatico, se la comunità statualefosse considerata dagli immigrati comeun altro da sé. Ma nel caso di un egizianoemigrato in Arabia Saudita, la continuitàdi usanze e costumi, dettata dallalingua e dal credo religioso, porta a unaimmedesimazione diretta nella cultura enella società del nuovo paese.La mediatrice egiziana definisce “strano”il fatto che proprio in Arabia Saudita lapratica non esista, e questo ci fa capirecome, nell’immaginario collettivo degliafricani di religione musulmana, essa siacomunque collegata alla religione.

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