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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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Rapporto di ricerca nella regione Veneto127osservata dal personale sanitario.Le intervistate e gli intervistati hannoriferito le maggiori tipologie di mutilazionedelle quali sono a conoscenza, in quantooggetto di studio o perché incontratenei contatti con l’utenza. Emerge comele mutilazioni più comuni siano quellepraticate sulle donne del Corno d’Africa,peraltro sempre meno presenti e proprioper questo poco conosciute dai sanitariintervistati, e quelle definite “minori” delledonne provenienti dall’Africa Occidentale.Piuttosto significativa è la non ovvietàdella rilevazione della pratica anchequando la donna vi è stata sottoposta.Ciò evidentemente in ragione delle debolitracce che certe pratiche lasciano edella conseguente difficoltà a rilevarlenel corso delle visite. Contrariamente aquanto accade con l’infibulazione, tutti isanitari concordano sul fatto che un lieveintervento non necessariamente lasciatracce evidenti, soprattutto se eseguitonei primissimi anni d’età. La criticità delleMGF minori, tecnicamente definite sunna,sta dunque nella difficile rilevazione,resa ancora più improbabile dal fattoche molte volte è lo stesso operatore ooperatrice sanitaria a non verificare seeffettivamente la pratica è stata effettuata,trattandosi di episodi che se sono accadutirisalgono al periodo dell’infanzia o ai primimesi di vita e che comunque possono noncomportare complicanze particolaridal punto di vista clinico. Le MGF possonopertanto passare inosservate e dunquesono difficilmente definibili anche intermini quantitativi.Se la verifica delle MGF appare in alcunicasi difficile, altrettanto complicata èl’indagine sulla reiterazione della praticasulle bambine. Ancora una volta, tra lequestioni nodali c’è la difficoltà di accederead informazioni pragmaticamente esimbolicamente celate. Alcune delleintervistate hanno infatti espresso ledifficoltà incontrate nel tentativo diverificare attraverso domande all’utenzal’esistenza o meno della pratica nonchél’intenzione di reiterarla sulle bambine.Tendenzialmente, si ricava dunquel’impressione che le MGF nei servizisanitari si collochino in una dimensionedi presunta assenza e che pertantosiano oggetto di un’attenzione eproblematizzazione che tende ad esserelimitata. Di fatto, con l’eccezione deglioperatori e delle operatrici con esperienzedirette e con particolari “sensibilità”,si rileva uno stato di conoscenza ridotto,complessivamente insufficiente acomprendere sia il fenomeno delle MGFnella sua generalità, sia la possibiledimensione quantitativa di queste pratichenel nostro territorio regionale in relazioneai diversi gruppi nazionali ed etnici.Un discorso diverso meritano ovviamentei casi nei quali gli operatori sono di fronteall’infibulazione. Infatti le implicazioniderivanti da eventuali interventidi <strong>dei</strong>nfibulazione e reinfibulazione possoporre alcuni dilemmi che interagisconodirettamente con la normativa italianadel 2006. Tuttavia, dalle intervisterealizzate è emerso come gli interventidi reinfibulazione, specificamentesu richiesta delle utenti, siano pressochéassenti. Di fatto però, le implicazioni e lecomplicazioni mediche che gli operatorisanitari hanno affrontato con le donneinfibulate non sono di certo sottostimabili,così come appaiono essere di una certarilevanza gli atteggiamenti di paura chele donne in modo sommesso esprimononel momento del parto, proprio nellaconsapevolezza di essere portatricidi una modificazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> del tuttoestranea alla nostra cultura.Le interviste effettuate con alcunirappresentanti delle forze dell’ordinee con la Procura di Verona sono stateorientate a verificare la conoscenza sulpiano professionale del fenomeno dellemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e l’impatto

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