Una ricerca in Friuli Venezia Giulia166persona è indifesa, quello che noi facciamo ècultura, tradizione, religione e nessuno vuoleandare contro la cultura, la tradizione,la famiglia o la religione.Si noti l’identificazione tra cultura,religione e tradizione, tre nuclei prescrittivipotentissimi la cui sovrapposizionesemantica fa sì che la prassi delle MGFsia assolutamente interiorizzata 47 .La maggioranza delle affermazioni degliintervistati rivela, infatti, un’aderenzaautomatica alle prescrizioni: “Perchéè una cultura accettata da tutti” è unconcetto ricorrente, che ritroviamo in varieformulazioni, ma sempre con lo stessosignificato. Anche un’intervistata conun alto livello di istruzione e mediatriceculturale di professione, pur dichiarandosicontraria alle MGF e pur essendole statarisparmiata la mutilazione, sembra nonessersi mai posta il problema in modocritico, o almeno non tanto da trasformareil proprio giudizio di valore in una azionedi contrasto. Sembra essere anch’essacondizionata culturalmente, nonostanteviva da tempo in Italia.Il modello di cultura che emerge ècomunque sempre quello patriarcale,dove tutto viene fatto in funzionedel maschio, anche il matrimonio.Le donne “accettano”, “subiscono”tutto nell’aspettativa di rispondereadeguatamente al ruolo prefissato per ledonne, all’interno di un contesto nel qualeil maschio è il centro:Si intende che le donne accettano che allebambine piccole vengano fatte questeoperazioni, perché l’uomo desidera più ladonna che ha subito queste operazioniche una che non le ha subite. Anche perquanto riguarda gli aspetti sessuali, la donnarisponde meglio alle richieste dell’uomo, si47 Sulle componenti della cultura e sulle proprietàdistintive della cultura si veda, in particolare, il lavorodi Clyde Kluckhohn e Alfred L. Kroeber, Il concettodi cultura, Bologna, Il Mulino, 1963.crea una sudditanza psicologica e le donnesi sentono per sempre meno del maschio e alservizio del maschio.Ciò suggella il dominio maschilesull’ambiente sociale, sulle donne esui bambini: un modello che permetteall’uomo, e non alla donna, la poligamia,a prescindere dall’appartenenza religiosa.Una donna camerunese racconta:Il nostro problema è stata la poligamia,perché la convivenza di più donne nellastessa casa comporta tantissimi problemi.Uno <strong>dei</strong> motivi per cui mia mamma è qua,è proprio perché la convivenza era diventatadifficile con le altre mogli e quindi con miopadre.I rapporti purtroppo non sono mai statibuoni e per me parlare della mia famiglia èsempre un problema. Mia madre è la primamoglie e quindi siamo più uniti tra di noirispetto ai fratellastri. Comunque mio padrecontinua ancora a fare figli e ho un fratelloche è più giovane di mia figlia.Il modello culturale che emerge ancoradal racconto di altre intervistate, anche inrelazione alla loro esperienza personale,è quello di un mondo dominato dallatradizione, piuttosto chiuso e fortementeprescrittivo dove tutti devono “accettarequeste usanze” e, in particolare, le donne“devono essere preparate”, “devono esserecostrette”. Poiché il modello tradizionaleè patriarcale, la divisione fra i sessi èsempre presente e le donne vengonosocializzate da altre donne, soprattutto nelcampo della vita sessuale e riproduttiva.L’educazione che ricevono in genere èimprontata alla sottomissione al voleredel marito e alla passività, cioè adassumere comportamenti che violano illoro diritto a disporre liberamente dellapropria vita. Un ruolo fondamentale inquesto senso è svolto dai membri dellafamiglia allargata. Sembra che le “vestali”delle tradizioni siano le zie. Esse svolgonoun ruolo cruciale nella socializzazionedelle bambine e sono loro che subentrano
Una ricerca in Friuli Venezia Giulia167nel “lavoro sporco”, ossia quando lamadre non si sente di portare avanti certidiscorsi sulla sessualità o certe pratiche,come le MGF:Sì, le zie premono molto perché lamamma può anche mollare, ma loro no,ci tengono. Sono anche le zie quelle chedevono raccontare <strong>dei</strong> segreti e sono loro ainsegnare la masturbazione alle bambine.(donna congolese)La struttura patriarcale della famigliacostituisce ancor oggi il fondamentodelle relazioni umane e dell’organizzazionedella società africana. I rapporti fra isessi, come ci vengono descritti dai/lleintervistati/e, sono di rigida separazione eimprontati a una discrezione reciproca e auna distanza affettiva che corrispondonoa strutturazioni ben consolidate di ruolidominanti e di ruoli subordinati all’internodell’ambiente familiare.Nelle dichiarazioni di una donna beninese:C’è sempre quasi una vergogna, se peresempio un uomo va in cucina a fare damangiare, lavare i piatti, o se guarda ibambini. Non è comune. Ci sono quelliche lo fanno, non puoi dire che tutti gliuomini africani siano contrari, però sonouna minoranza. E questi che lo fanno, sonocomunque quelli che sono stati all’estero equindi hanno visto che gli uomini possonofare queste cose senza perdere la loro dignitàdi uomo, hanno una veduta più ampia, sonopiù aperti. Però, per il vero uomo africano,al cento per cento, che ha sempre vissuto inAfrica, è difficile che ci sia questa parità”.Uno degli intervistati afferma che qui,in Italia, aiuta in casa e si rapporta con lamoglie in modo paritario, ma quando tornanel suo paese non osa avvicinarsi allacucina o ai bambini, altrimenti verrebbederiso da tutti.Anche le manifestazioni di affetto framoglie e marito sono, ancor oggi, moltocontenute, e i rapporti restano improntatia una certa formalità che, se non leesclude, certo le limita drasticamente:precisamente come avveniva tempo fain certe campagne italiane, dove maritoe moglie si davano del “voi” e la mogliedefiniva il marito “il padrone”.Questo dispositivo culturale, che renderigidi, formali e distanti i ruoli familiari,risulta con evidenza dall’intervistarilasciata da una donna keniota:R. Ho l’impressione che anche noi africanidimostriamo l’affetto fisicamente moltomeno di quanto si faccia qua.Qui la gente si bacia, si abbraccia,gli uomini con gli uomini, le donnecon le donne, i bambini, ma anche gliadolescenti si interessano in prima personaa bambini piccoli, cosa che difficilmente sivedrebbe in Kenya: un ragazzo di 15 anniche si occupa di un bambino di 4, mai.Qui in Italia, dove c’è, l’affetto in famigliaviene dimostrato continuamente, mentreda noi uno ha la sensazione che l’affetto c’èperché ci si incontra, ci si vede, si parla, simangia insieme, però quando si trattadi toccarsi, di abbracciarsi, lo facciamomolto meno.D. Dunque, secondo te gli italiani sono piùespressivi nei loro rapporti familiari?R. Certamente sì, verbalizzano l’affetto,ne parlano continuamente. Mentre i nostrigenitori non ce lo dimostrano con le parole,ma in altro modo: lavorano tante ore perfarci studiare, ci sgridano quando nonstudiamo bene. Si dimostra affetto con laricercatezza <strong>dei</strong> cibi, ci si assicura che laragazza li cucini in una certa maniera, che ivestiti <strong>dei</strong> figli siano puliti.D. E quindi forse puoi dire che siamo piùaperti qua, o non è la parola giusta?R. Non so se gli italiani sianonecessariamente più aperti.Quando sono cresciuta io i rapporti eranomolto più formali.
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