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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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Una ricerca in Friuli Venezia Giulia215di coordinamento del progetto nell’ambitodel quale questa ricerca è statarealizzata, organizzato presso laPrefettura di Trieste, un’altra ipotesiche concorrerebbe alla spiegazione delnumero ridotto di casi di MGF di cuivengono a conoscenza i servizi sanitari inregione è che alcuni tipi di mutilazione,quelle meno cruente, sarebbero di difficileindividuazione: talvolta, un “occhio pocoallenato” potrebbe non essere in gradodi diagnosticare alcune forme dimutilazione genitale. La sensazioneche si ricava davanti a queste ipotesiè che esistono percorsi di cura diversidal servizio sanitario e dove “tutto ècoperto molto bene perché il tutto vienefatto evidentemente a livello sommerso”,come sospetta l’anatomo–patologotriestino. Non sono però solo gli aspettirelativi alla salute che interessano ilpersonale sanitario intervistato, quantouna comprensione della pratica nella suacomplessità di fenomeno socio-culturale,legato alla tradizione e alla religione,che vada oltre gli stereotipi più comunicirca le sue origini e la sua diffusione.In particolare, <strong>nelle</strong> testimonianze raccolteviene sottolineata la volontà di smentiregli stereotipi diffusi in Occidente chevedono le MGF come una pratica dettatadalla religione islamica, perpetuataesclusivamente <strong>nelle</strong> zone rurali e legataper lo più alle classi sociali più povere econ un grado di istruzione poco elevato.Per quanto riguarda la religione, unamedica dell’IRCCS Burlo Garofolo haricordato quanto affermato dall’Unicef,e cioè che la pratica si riscontra trapersone che praticano tutte le religioni,aggiungendo che “anzi in alcuni paesiafricani lo fanno più i cristiani che imusulmani”.L’appartenenza religiosa, d’altra parte,risulta essere un elemento moltoimportante nell’accesso al serviziosanitario, infatti le donne di fe<strong>dei</strong>slamica generalmente chiedono di esserevisitate da medici di sesso femminile:Ovviamente ci vuole molta gentilezzacome con qualsiasi persona. Se abbiamodavanti una quarantenne bianca che hagià effettuato un certo numero di visiteginecologiche, il problema è relativo.Sappiamo, invece, che se ci si trova difronte a una ventenne vergine e musulmanaoccorre muoversi con molta cautela;però siamo sempre riuscite a convincerla afarsi visitare, magari non da un uomo.Se riusciamo a farlo fare dal nostroginecologo, preferiamo, perché cosìnoi stesse possiamo aiutare in tutta lagestione. Se la paziente insiste nel volereche la visita sia fatta da una donna,rispettiamo la sua scelta e organizziamoper lei una visita in città con una ginecologa.(infermiera ICPT)Pur non essendo in possesso di datiprecisi circa l’incidenza della pratica neipaesi di provenienza, i medici intervistatisembrano consapevoli che non si trattadi un fenomeno che riguarda solopersone provenienti da zone rurali edalle classi sociali meno abbienti e menoistruite. Talvolta tale percezione è fruttodell’esperienza personale, come nel casodi un anatomo-patologo triestino che neglianni Ottanta ha lavorato in Somalia:Mi è capitata la figlia di un personaggiomolto importante, un medico somaloche sosteneva che l’infibulazionedoveva prevedere almeno quattro puntidi sutura, altrimenti sua figlia nonl’avrebbero sposata.Oppure una medica dell’IRCCSBurlo Garofolo, secondo la quale:L’idea che noi abbiamo in Occidente èche questa sia una pratica di aree rurali,di persone di basso livello culturale, invececonosco due paesi nei quali il posto doveè meno frequente la pratica è la zona

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