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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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Una ricerca in Friuli Venezia Giulia208Diverso è il caso di una mediatricedi origine egiziana. Risulta dall’intervistache questa conosce in qualche modola pratica, ma non sa qualificarlaappropriatamente né in arabo né initaliano, cerca di esprimersi attraversostrumenti visivi, e solo con grandedifficoltà definisce a parole il tipo diintervento. È come se fosse un argomentotabù: si sa che c’è, ma non se ne parla.La donna è una persona con un altolivello di istruzione, per cui la difficoltà aparlare di MGF risulta particolarmentestridente. Che in generale le MGF sianoun argomento tabù anche nella classepiù colta è confermato dal fatto chesolo in risposta a una domanda circala conoscenza della pratica nel proprionucleo familiare emerge che la stessamadre è portatrice di MGF.La difficoltà a parlare della pratica siriconferma nel racconto dell’assistenzaprestata a una donna eritrea che,confidatasi con lei per alcuni problemiagli organi <strong>genitali</strong>, era stata inviataall’ospedale di Gorizia per un interventodi de-infibulazione. La forza del tabùaffiora nella terminologia usata, poiché lapratica non è mai menzionata e risulta inmodo allusivo e indiretto. La mediatricespiega che la donna:Ha subito quando era piccola questo taglioalle labbra ed è successo che le due partidelle labbra, dopo l’operazione, si sonolegate e lei non poteva avere un rapportoperché era quasi chiusa e quando è venutaqua in Italia, come richiedente asilo,l’abbiamo aiutata a andare in ospedalead aprire questa chiusura.Questo però non le impedisce di affrontaredirettamente la cosa e di aiutare esostenere la donna eritrea: quandocapisce che è soggetta a molte pressionipsicologiche da parte <strong>dei</strong> suoi connazionalisi adopera per cercarle un rifugio inun’altra casa, in una località diversa,al fine di proteggerla. Un mediatoredel Burkina Faso, invece, non conoscele differenze fra i tipi di MGF, ma sabenissimo che nel suo paese si pratical’escissione alle bambine e la circoncisioneai bambini. Non sa e non si era maiposto il problema di che cosa faccianoesattamente alle bambine, sa solo che“tolgono qualcosa alla donna come ancheagli uomini”. C’è dunque un parallelismonel rituale che segna l’avvio alla faseadulta della vita. Questi argomenti nonsono mai stati trattati nella sua attività dimediazione perché sono “cose di donne”.Ma anche altre mediatrici, provenienti dalSenegal, dal Burkina Faso, dal Benin edal Marocco riferiscono che il loro lavoro ècosì complesso che temi così “personali”non emergono tanto facilmente.Si imbattono piuttosto nei problemi chesono sentiti con grande forza dagli/lleimmigrati/e quali le pratiche <strong>dei</strong> permessidi soggiorno, la burocrazia, la casa,il lavoro, la scuola, ecc, e quindi nonresta molto spazio per sviluppare, nelrapporto di mediazione, argomenti cheriguardano la salute sessuale e l’intimitàdelle donne, a meno che non ci siano<strong>dei</strong> problemi specifici. È questo infatti uno<strong>dei</strong> limiti del lavoro di mediazione culturalesecondo un senegalese, presidentedi un’associazione. Secondo lui i/lemediatori/trici dovrebbero impegnarsidi più nell’affrontare questi discorsi,anche se non sono pagati per questo:Il mediatore si limita alle ore di lavoroconcordate. Credo, invece, che dovrebbefare anche un po’ di volontariato su questitemi. Io, come senegalese, ne ho parlatocon quelli della mia comunità e con quellidi etnia Peul.Il tratto che accomuna tutti gli approcci,pure diversi, è comunque la nettaavversione a ricorrere alla denuncia oalla segnalazione alle istituzioni e laspiccata propensione a tentare in ognicaso la via della persuasione, alla quale

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