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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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Rapporto di ricerca nella regione Veneto90una maggiore disponibilità e libertàdi relazione anche nei confronti deglistessi servizi, che in simili circostanzeriescono a erogare un servizio migliore.Attraverso le interviste abbiamo potutoinoltre individuare tre elementi criticiprincipali che caratterizzano il rapportodelle utenti con i servizi e viceversa.Il primo fa riferimento alla sferacomunicativa, ossia alle difficoltà legatealla lingua. Il secondo fa riferimento allascarsa conoscenza delle diverse cultureafricane da parte degli operatori edella cultura <strong>dei</strong> servizi italiani da partedelle africane. Il terzo alla sfiducia neiservizi da parte delle donne.In questa direzione vanno le riflessionidi una delle intervistate.È importante chi accoglie: se un servizionon ha una buona accoglienza, loro nonsi sentono a loro agio. Non vengonoda te pensando che tu puoi fare grandicose per loro, sono abbastanza diffidenti,questo me lo dice anche la mediatriceculturale. Mi riferisco in particolareall’area nigeriana.È bene tuttavia evidenziare come l’utenzanon si definisca solo in questi termini.Le intervistate hanno infatti espostouna realtà nella quale accanto ad unapopolazione femminile profondamentelimitata dallo scarso livello di istruzionee integrazione, segnata da rapportidi genere non paritari, tendenzialmenteviolenti, vi sia anche un’altra tipologiadi utenza, che vede sia le donne che gliuomini africani in un continuo dialogocon la propria cultura e con il contestoculturale di arrivo. In altre parole, è viva lapercezione della presenza di uomini chepartecipano, che manifestano sensibilità eche appartengono a ceti che permettonouna elaborazione del progetto migratorioorientata alla piena integrazione.Anche quando l’uomo è assente nelmomento del contatto tra la donna e ilservizio sanitario, l’impressione è cheladdove vi è integrazione, questa assenzanon sia voluta, ma sia ad esempioimputabile al fatto che <strong>nelle</strong> comunitàafricane l’occupazione maschile èmolto più radicata di quella femminilee perciò la donna si reca da sola alconsultorio semplicemente perché ilmarito non può accompagnarla.Molto spesso le donne vengono a gruppettidi due, tre.Se questo è dunque il panorama generalerestituitoci dalla realtà <strong>dei</strong> servizi, vediamoora quanto è emerso in merito allaspecifica questione delle MGF.Anche in questo caso, la diversitàgeografica delle utenti africane è decisiva,perché delinea la tipologia di mutilazioneosservata dal personale sanitario.Vi è da sottolineare peraltro che letestimonianze ricavate dalle intervistecon il personale sanitario documentanola presenza nel nostro territorio di donneafricane sottoposte a MGF in patria ingiovanissima età. Si tratta sempredi persone adulte, sulle quali l’interventomutilatorio è stato praticato parecchianni addietro; le donne, al momento dellavisita, non dichiarano di averlo effettuato,probabilmente anche consapevoli delfatto che, in certi casi, la rilevazione puòrisultare difficile per la scarsità degli esitiregistrabili sulla morfologia <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>esterni <strong>femminili</strong>. Le intervistate e gliintervistati hanno riferito le maggioritipologie di mutilazione delle quali sonoa conoscenza attraverso la loro attività.Emerge che le mutilazioni più comunisono riconducibili a quelle praticate sulledonne del Corno d’Africa, il cui numeroperaltro è in diminuzione, e le mutilazionidefinite “minori” sono praticate sulledonne provenienti dall’Africa dell’Est.Rispetto a queste ultime, si sono rilevatialcuni elementi particolarmente criticisui quali occorre riflettere.Di seguito riportiamo le osservazionidi una delle intervistate.

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