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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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Una ricerca in Friuli Venezia Giulia165La non conoscenza della pratica ritornanel discorso quando la mediatriceracconta l’episodio di una donna eritreache, confidatasi con lei per alcuniproblemi agli organi <strong>genitali</strong>, era statainviata all’ospedale di Gorizia per unintervento chirurgico. Da quanto risultadall’intervista, sembra che la giovanedonna sia stata sottoposta a un inintervento di de-infibulazione, ma lamediatrice non usa il termine e spiega cheha subito quando era piccola questo taglioalle labbra ed è successo che le due partidelle labbra, dopo l’operazione, si sonolegate e lei non poteva avere un rapportosessuale perché era quasi chiusa e quando èvenuta qua in Italia, come richiedente asilo,l’abbiamo aiutata ad andare in ospedale peraprire questa chiusura.La natura di tabù delle MGF affiora quindianche nella terminologia usata dagliintervistati. Nel discorso esse soventenon sono menzionate e risultano inmodo allusivo e indiretto. Ci si riferisce aesse genericamente e vengono indicatedai più con il termine valutativamenteed emotivamente neutro di “pratica” o“cosa”. Non viene mai usata l’espressione“mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>” (ol’acronimo MGF), anche perché alcuni nonsono d’accordo su questa definizione.lamentavano, in verità”.Un’altra espressione usata è “taglio dellepiccole labbra” o “la donna tagliata”.Alcune donne intervistate utilizzanovolentieri la forma implicita, omettendo dinominare la pratica: “Mia sorella non l’hafatta ai suoi bambini”, “le mie figliesono state fatte”. La MGF è sottintesanel discorso e spesso si costruiscono lefrasi in modo impersonale, omettendoil soggetto: “In Eritrea e in Somalia sipratica moltissimo”.Quando la mediatrice congolese,per esempio, parla delle MGF, anchecitando altre donne, dice “cose da fare”o “queste cose”. E quando parla di sestessa afferma di non sapere nulladi “queste cose qua”, “nel mio paese,il Congo, questo non si faceva”; e neldibattito seguito alla proiezione del filmMoolaadé di Ousmane Sembène fa notareche le ragazze “non volevano farsi fare”o che “dovevano essere preparate”.Nelle espressioni usate dalle personeprovenienti da paesi africani si capiscecome gli/le intervistati/e avevano una certadifficoltà a definire questa esperienza,cercando di volta in volta di parlarne inmodo allusivo, quasi non appartenesseloro, almeno per il mondo esterno.Raramente <strong>nelle</strong> interviste gli/le africani/e(inclusi mediatori e mediatrici culturali)definiscono correttamente le MGF inbase al tipo di intervento e alla tipologiaconvenzionale (classificazione dell’OMS,Organizzazione Mondiale della Sanità),cioè non usano quasi mai correttamentele definizioni di circoncisione, escissioneo infibulazione, e sembra che non neconoscano bene le differenze.Un termine frequente è “operazione”:“vengono fatte queste operazioni” oppure“una donna che ha fatto l’operazione e unache non l’ha fatta”, o ancora “le ragazzeche hanno subito queste operazioni non si/ Modelli di cultura e societàtradizionale /La cultura è sempre chiamata in causaquale responsabile di ogni azione,anche di quelle palesemente contrarieai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, come le MGF.Per una donna nigeriana la cultura è lalegge da rispettare:Per prima cosa in Nigeria non si usa iltermine mutilazione, ma circoncisione.Con il termine mutilazione si intende che la

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