Rapporto di ricerca nella regione Veneto116i nostri comuni con i quali siamo collegati,quindi non possiamo in questo momentooffrire altro se non questa volontà fermadi occuparci in modo specifico di questo.(M., Commissione Pari Opportunità, Verona)Ecco, posso dire che rispetto a questaproblematica, io quest’estate ho avutooccasione di fare un piccolo seminarioall’interno di un meeting anti-razzista aCecina, dove ho potuto conoscere meglio,perché era tenuto da donne dell’Africacentrale, psicologhe, antropologhe,insomma esperte, alcune che avevanoanche subíto queste pratiche.Prima sapevo in maniera molto vaga.(D., Arcisolidarietà, Rovigo)Lavoro per il Telefono Rosa di Verona,siamo un’associazione di volontarie,ci occupiamo di dare sostegno e un primoascolto telefonico a donne di qualunqueprovenienza, vittime di violenza domesticao familiare, economica. Non siamopersonalmente, anche a livello dellealtre colleghe, particolarmente espertedell’argomento, tanto è vero che sonovenuta io, per capirne di più, per impararequalcosa, saremmo interessate in effettiagli incontri pratici e formativi per sapernedi più; ne so molto poco.(S., Telefono Rosa, Verona)Singolare è invece la realtà di Rovigo,dove la Commissione Pari opportunità harealizzato progetti specifici, incrociando lapropria attività con quella dell’AIDOS.AIDOS consigliò all’associazionefemminile un percorso di sensibilizzazionee di conoscenza del fenomeno per noi,per la nostra realtà, anche perchéDaniela Colombo, nostra concittadina,presagiva che l’immigrazione femminilesarebbe notevolmente aumentata nelnostro territorio. E così noi abbiamocominciato un lavoro di conoscenzada parte nostra, di sensibilizzazionedell’opinione pubblica, ma non soltanto,anche <strong>dei</strong> rappresentanti delle istituzioni,<strong>dei</strong> rappresentanti e direttori delle ASL,ecc. E proseguendo in questo lavoro disensibilizzazione abbiamo conosciuto anchel’iter della legge del 2006. Colombo ce lapresentava come la legge più completa,nel senso che non si riscontrava in nessunaparte dell’Europa e anche negli altri paesiextra-europei, una legge che contenessemomenti di formazione, sensibilizzazionee informazione. E naturalmente in quelmomento fummo stimolati a riflettere sulfatto che è comunque una violabilità delcorpo femminile e in quel momento a Rovigoriuscimmo, parlo sempre dal punto di vistaculturale, a coinvolgere il maggior numerodi istituzioni in rete anche con i Comunidel territorio e la comunità nigeriana.(M., Commissione Pari Opportunità, Rovigo)Vale la pena a nostro avviso sottolineareinoltre l’importanza di quanto scaturitonel confronto tra le operatici che invecehanno avuto e hanno conoscenza direttadelle MGF. Anche in questo caso, cosìcome emerso nei focus group realizzaticon donne e uomini africani, si èriproposta la controversia sulla praticacome manifestazione di identità culturalee di appartenenza. Un simile assuntoguarda naturalmente con sospetto ognitipo di intervento volto all’eliminazione ealla reiterazione delle MGF.L’analisi realizzata dalle donne presentiall’incontro esprime in alcuni casi unacerta preoccupazione nei confrontidi interventi che possono scaturireda posizioni giudicanti nei confrontidi coloro che a tale pratica sono statesottoposte e che intendono reiterarlasulle loro bambine. Riportiamo in meritoalcuni stralci di interventi.Personalmente io non ne so moltissimo delleMGF, nel senso che non so tutta la casistica,non so esattamente quali siano tutte lenazionalità coinvolte, ecc. Però è vero cheal Centro Antiviolenza abbiamo un bacino
Rapporto di ricerca nella regione Veneto117enorme di donne, abbiamo tantissime donneche arrivavano vittime di violenza di ognigenere e tantissime, sempre di più, straniere.Però la nostra riflessione, che facevamo unpo’ insieme, è una riflessione anche un po’provocatoria, che ci facevamo anche sudi noi. Nel senso che quando si ha ache fare con una donna immigrata, l’esseredonna e immigrata significa avere tuttauna serie di difficoltà, ed essere in unpaese straniero spesso richiede anche chela persona riesca ad avere degli aggancirispetto alla propria comunità, mantenere unsenso di appartenenza che richiede molti piùsforzi, più sacrifici, e una pratica di questotipo, nella nostra esperienza, è risultatacome una cosa che in un certo sensogarantisce una sorta di legame con leproprie origini. Quindi è un po’ stranoparlare di questa cosa dando per scontatoche sia una cosa negativa, sono un po’“hard” dicendo questa cosa.Ovviamente io non penso che sia unacosa positiva, ci mancherebbe altro, peròmetto sul tavolo anche il fatto che questapratica (ripeto che la mia esperienza èproprio poca) da donne sulle donne,che ha un forte significato, che in alcunicasi è accompagnata anche da una sortadi festeggiamento, è un momentoimportante. Per cui mi viene anche da mettersul tavolo che bisogna tenere presenteche va rispettata questa cosa.Però ci sto anche a discutere su questo.Chiedere alle nostre donne di parlare diquesto tema spesso diventa difficile, perchépartono comunque dal presupposto che,nel momento in cui tu glielo chiedi,le metti nella posizione di essere sottogiudizio, ecco. E quindi vorrei che insiemecercassimo una modalità per approcciarcia queste donne in modo che non si sentanotali. A noi piace l’idea di fare una ricercache indaghi un po’ anche i luoghi d’origine,il significato nella tradizione e nellacultura di certi popoli, e credo sia un po’questa la chiave, partendo un po’ dalrispetto e dalla conoscenza.(A., Cooperativa Iside, Venezia)Riflettere su che approccio e strumentocomunicativo mettere in atto per potersiavvicinare a persone che, appunto per ilfatto di considerare la pratica come partedella propria appartenenza etnica all’internodi un paese straniero, la vivono proprio unaquestione di identità.Secondo me le madri che arrivano quapraticano questo sulle figlie in quanto èappunto una dimensione di appartenenzaalla propria comunità di origine, è culturale.(G., Cooperativa Iside e CentroAntiviolenza, Venezia)La questione identitaria legata allapratica assume un’importanza centralenell’atteggiamento delle operatrici.Altrettanto importante si rivela laquestione della comunicazione edel linguaggio, inteso nella sua ampiaaccezione di portatore di valori e significati.Parole quali rispetto, comprensione,giudizio accompagnano dunqueun’analisi che pone al centro della loroopinione personale l’esperienza delledonne straniere nella migrazione, il lorosradicamento e la necessità di ristabilirelegami con la comunità.Di certo, nessuna delle presenti haavanzato l’opportunità di avallare lapratica, ma piuttosto di collocare ildiscorso e le eventuali iniziative in unaprospettiva che vede le MGF correrelungo tutto il tragitto migratorio che vadalla comunità d’origine a quella di arrivoin Italia.Io volevo riagganciarmi alla questionedell’identità. Per me è solo una questionedi identità. Io ho visto che per la maggiorparte delle popolazioni africane è moltopiù forte l’identità culturale e socialedell’identità. Loro esistono come identitàculturali. È quello il motivo per cui è moltodifficile. Bisognerebbe proprio trovare lamodalità, quando entri, sapendo questoe sapendo come muoversi soprattutto susoggetti che già sono lontani dalle loro
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