Ghermita al cuore - Sardegna Cultura
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nel silenzio immoto, se mai un fruscio, un piccolo rumore segreto<br />
le giungesse <strong>al</strong>l’orecchio per dirle che anche le cose sapevano<br />
la sua grande ventura: «Silvio era innocente e l’amava<br />
con vero affetto!».<br />
«Speranza, io ti perdono». Com’era grande quell’anima!<br />
com’era forte quell’amore! Quanto m<strong>al</strong>e gli doveva ella aver<br />
fatto con quel suo crudele modo d’agire, con la sua mostruosa<br />
ingiustizia, con la sua c<strong>al</strong>unnia! Come doveva aver<br />
lacerato quel <strong>cuore</strong> sensibile e affettuoso coi suoi barbari<br />
colpi di spiedo! Quanto si sentiva colpevole! S’egli fosse stato<br />
presente, gli si sarebbe prostrata dinanzi per mordere la<br />
polvere ch’egli c<strong>al</strong>pestava: non si sarebbe levata prima ch’egli<br />
l’avesse costretta: gli avrebbe bagnato i piedi di pianto.<br />
«Ora, la mia vita è nelle tue mani». Un tremito la scosse,<br />
<strong>al</strong> pensiero di tanto cara responsabilità. Si rappresentò<br />
nella mente il corpo di lui deformato, aperto d<strong>al</strong>la p<strong>al</strong>la a<br />
una fontana di sangue, o cadente d<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>to della purezza del<br />
cielo solcato dai suoi voli, sfracellato tra le punte dei nodi,<br />
che avevano visto i suoi trionfi. Che orrore! No: tutto, prima,<br />
morisse; tutto cadesse, purché egli fosse vivo!<br />
Si rammentò che il giorno dopo dovrebbe venire <strong>al</strong>la<br />
fattoria il compare, B<strong>al</strong>tòlu Muscia, il qu<strong>al</strong>e faceva dei continui<br />
viaggi a Tempio per vendere le sue entrate. Egli non<br />
sapeva leggere, ed era fidato: ora poi le era avvinto per virtù<br />
del sacramento. A lui affiderebbe il suo biglietto perché lo<br />
impostasse in città: era certa ch’egli manterrebbe il segreto.<br />
Fu presa da una gioia quasi infantile: si mise a battere le<br />
mani senza avvedersene, gettò piccoli gridi. Poi fu quasi<br />
spaventata della sua voce che risonava nel silenzio della fattoria<br />
sepolta nel sonno: ebbe paura che qu<strong>al</strong>cuno la udisse.<br />
Piano piano tirò fuori d<strong>al</strong> cassetto del comodino un piccolo<br />
foglio e vi scrisse con matita violacea due sole parole: «Vieni,<br />
Speranza». Guardò le lettere che le parvero vergate col<br />
sangue: certo, col sangue sano del suo <strong>cuore</strong> ardente. Mise<br />
in busta e suggellò. Con mano tremante scrisse l’indirizzo e<br />
mise tutto sotto il guanci<strong>al</strong>e. La lettera sarebbe il breve benedetto<br />
che distruggerebbe la profezia spaventosa della vecchiaccia<br />
lorda, e le fiorirebbe il sonno di visioni d’incanto…<br />
Signore, quanto era felice!<br />
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Quindi nella fattoria per <strong>al</strong>cune settimane i giorni trascorsero<br />
nella consueta pace.<br />
Solo una volta zia Francisca, quando tutti gli uomini erano<br />
lontani, volle pizzicare una corda un po’ stridente: – Figlia<br />
mia, quando ti decidi dunque a darci quella benedetta<br />
risposta? Bada che più d’un mese è passato!<br />
Ma Spiranza troncò seccamente la questione col dire: –<br />
Mamma! e vi par molto un mese per un affare così importante?<br />
Non è un gioco, poveretta me! Bisogna pensarci bene:<br />
e io ancora non ci ho finito di pensare!<br />
Fu lasciata tranquilla, <strong>al</strong>meno con le parole chiare. Stuzzicata<br />
di quando in quando da qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>lusione lontana, da<br />
qu<strong>al</strong>che smusata di Giromìnu (che ronzava più che mai intorno<br />
a Cat<strong>al</strong>ina Ruòni), da qu<strong>al</strong>che insolenza di M<strong>al</strong>cu, da<br />
qu<strong>al</strong>che delicato accenno della dolce sorella, fingeva di non<br />
capire.<br />
Un’<strong>al</strong>tra volta tornò anche Niccòla Ruoni, con la scusa<br />
di non so qu<strong>al</strong>e siepe da imprunare, e conversò a lungo col<br />
vecchio sotto il pergolato dell’orto con susurrio animato e<br />
con c<strong>al</strong>ore di gesti. E se ne andò com’era venuto, non molto<br />
di buon umore.<br />
Jacheddhu, veniva spesso: stava delle ore lungo piantato<br />
sulla soglia o in mezzo <strong>al</strong>la stanza o sul cancello delle mandre,<br />
per divorarsi con gli occhi la sospirata sposa; la qu<strong>al</strong>e<br />
non gli negava di quando in quando occhiate m<strong>al</strong>iziose e<br />
sorrisi birichini.<br />
Due o tre volte la settimana, nell’ora che le gregge pascolavano<br />
a distanza, s’avvicinava <strong>al</strong>la fattoria l’areoplano,<br />
dopo essersi aggirato maestosamente per qu<strong>al</strong>che ora attorno<br />
<strong>al</strong>la vetta del monte.<br />
Tutta la famigliola usciva sullo spiazzo e sventolava le<br />
pezzòle in segno di festa: qu<strong>al</strong>cuno batteva le mani; qu<strong>al</strong>cuno<br />
benché persuaso di non poter essere udito gridava: –<br />
Scenda, oh! scenda: che mi porta via anche me!<br />
Silvio s’abbassava quanto più poteva, avvolgeva la casa<br />
con graziose spire, lasciava cadere degli involtini di dolci, dei<br />
biglietti di s<strong>al</strong>uto e d’invito: «Vengano con me a volare!».<br />
– Gesummaria Giuseppe! – esclamava la vecchia, segnandosi.<br />
Il vecchio faceva gorgogliare in gola il suo riso<br />
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