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Ghermita al cuore - Sardegna Cultura

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In ultimo, era stata la gazzarra delle <strong>al</strong>tre nozze. Oh Signore!<br />

come si voleva star tanto <strong>al</strong>legri quand’ella, così vicina,<br />

soffriva? Quanto s’ingigantiva il suo cordoglio in quello<br />

sfrontato contrapposto! Mai s’era sentita così sola, e infelice,<br />

e solcata nel seno. Quei gridi giulivi, quei suoni, quei canti,<br />

per lei erano frecciate, perché le ricordavano <strong>al</strong>tri tempi, <strong>al</strong>tre<br />

feste, quand’ella, la festa dell’<strong>al</strong>tura, ornava con la sua<br />

presenza gli stazzi e le capanne, ed era invidiata e amata.<br />

Qu<strong>al</strong>che cosa le si fendeva dentro, nel profondo delle viscere,<br />

a quelle memorie smaglianti, che coi loro splendori rendevano<br />

più cupa l’oscurità del presente… E mentre ella era<br />

così barbaramente amareggiata, si presentava <strong>al</strong>la porta dello<br />

stabbiòlo or l’una or l’<strong>al</strong>tra delle Ruoni con la limosina di<br />

qu<strong>al</strong>che piatto in mano, per recarle con degnazione sprezzante,<br />

la sua porzione di dolci, di carne, di pane, come ad una vera<br />

carcerata o a una pezzente confinata nella spazzatura. O Signore:<br />

come la ferivano quelle parole di commiserazione!<br />

quegli sguardi ipocriti e felini! quelle maschere atroci che sotto<br />

la pietà nascondevano la gioia feroce che sprizzava in lampi<br />

infrenabili e in sorrisi impertinenti! Certe volte si sentiva tanto<br />

umiliata, tanto c<strong>al</strong>pestata, che la sua antica natura, non doma<br />

d<strong>al</strong>la sua volontaria espiazione e d<strong>al</strong> dolore, si ribellava in<br />

lei e sorgeva come una tigre già dormente, pronta ad azzannare.<br />

Allora sarebbe stata capace di slanciarsi sulle insultatrici per<br />

dilaniarle e disperderne i brani <strong>al</strong> vento! Però un vagito della<br />

creaturina, che riposava con gli angeli nella sua culla senza veli<br />

e senza fiori, fugava il suo sogno truce e la rendeva madre affettuosa.<br />

Si curvava su quella faccina cinta d’aureola e su di essa<br />

sfogava bisbigliando tutto il suo affanno.<br />

Però tutte quelle prove l’avevano prostrata, e quando<br />

venne Cat<strong>al</strong>ina a occupare il posto della sorella perduta<br />

(qu<strong>al</strong> cambio, Signore!) ella si trovò debole come una conv<strong>al</strong>escente.<br />

La cognata pareva si fosse proposta fin d<strong>al</strong> primo ingresso<br />

nella nuova casa di farle pagare tutte le ansie, le rabbie,<br />

e le afflizioni che aveva sofferto per colpa sua, quando i<br />

parenti tentavano di strapparle d<strong>al</strong> <strong>cuore</strong> l’affetto per Giromìnu.<br />

E si vedeva che cercava ogni occasione per farle<br />

sentire il suo dominio ed umiliarla.<br />

196<br />

La triste giovane soffiava sull’ira sempre accesa del marito;<br />

ed eran per parte di costui vilipendi continui, invettive,<br />

chiassate: la madre stessa tremava davanti <strong>al</strong>le sue imposizioni<br />

e <strong>al</strong>le sue tirannie, e la povera sua mano benefattrice<br />

non poteva portare <strong>al</strong>la sventura se non qu<strong>al</strong>che briciolo di<br />

nascosto e la sua parola confortatrice non la poteva consolare<br />

se non in segreto.<br />

La nuora, d’<strong>al</strong>tronde, spiava i passi, contava i minuti<br />

che la vecchia passava nel tugurio: e sul più bello della visita<br />

materna piombava silenziosa come una sventura, per turbare<br />

ogni tenerezza e avvelenare ogni gioia.<br />

Alle volte eran guerriglie aperte, ritorni crudeli <strong>al</strong> passato,<br />

rimproveri roventi, sferzate a sangue. – Taci, tu! Ti faresti<br />

più onore a star zitta. Ci vuole la tua faccia ad aprir bocca!<br />

S’io fossi come te, mi sotterrerei! L’onta della parentela!<br />

La vergogna di G<strong>al</strong>lura!<br />

Altre volte eran colpi di spillo, torture lente con armi<br />

velate, punture con ninnoli d’oro. – Povera Spiranza! Come<br />

vorrei restituirti il buon nome che hai perduto! Come ti<br />

vorrei ricondurre in mezzo <strong>al</strong>la gente, da una festa <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra!<br />

Come ti vorrei strappare da quest’antro di mai<strong>al</strong>i, vestirti a<br />

nuovo e condurti <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>legrezza come una risuscitata! Non<br />

posso però, Spiranza mia, non posso!<br />

La poveretta inghiottiva le sue lacrime in silenzio, ma t<strong>al</strong>volta<br />

si sentiva rimuggire nel seno la vecchia belva ammansita<br />

ma non morta, e si levava inviperita e tremante, per ributtarle<br />

in faccia gli improperi e gli insulti: perché, <strong>al</strong>la fine, la brama<br />

d’espiazione non la soggiogava ancora e la lasciava donna.<br />

Del resto, neanche gli <strong>al</strong>tri, esclusa la mamma santa e<br />

paziente, le <strong>al</strong>leggerivano il terribile fardello dei suoi travagli:<br />

che anzi, (ognuno per conto suo, o congiurati insieme),<br />

facevan quel che potevano per renderle più insopportabile<br />

il peso della sventura.<br />

Ziu Pasc<strong>al</strong>i, che pur s’era rabbonito con Diadoru, non<br />

aveva voluto assolutamente piegarsi a mitigare, fosse pure<br />

menomamente, il suo rigore paterno contro di lei. Tutte le<br />

preghiere di zia Francisca, fatte a mani giunte, in ginocchio,<br />

piangendo: tutte le arti della prediletta, tentate nei<br />

momenti più buoni dell’intimità famigliare: tutte le moine,<br />

197

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