Ghermita al cuore - Sardegna Cultura
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per le fratte e per le coste come grido scompigliato di baccante<br />
ubbriaca.<br />
La gara accendeva i cuori, sosteneva i corpi già stremati<br />
per l’età e la fatica e l’abb<strong>al</strong>lottio continuava con tutti i suoi<br />
clamori, con tutte le sue stranezze. La vetta del Limbara coi<br />
suoi cocuzzoli grigi sorrideva d<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>to, immersa in una gloria<br />
di sole; e il genio della solitudine forse guardò commiserando<br />
quell’attimo d’oblio, come tanti ne aveva guardato<br />
nel faticoso scorrere dei secoli, forse udì con pietà quel momentaneo<br />
fuggevole inno di gioia, perdentesi nella monodia<br />
cupa e desolata dei pianti sardi.<br />
Nessuno però udiva le riflessioni m<strong>al</strong>inconiche del genio<br />
del luogo e la gazzarra persisteva; finché zia Francisca,<br />
spossata e disfatta, non si strappò ansante d<strong>al</strong>le braccia del<br />
compagno e comandò <strong>al</strong>le figlie di portar la merenda.<br />
I servi collocarono a forza sullo spiazzo una tavola, e su di<br />
essa un coloss<strong>al</strong>e recipiente di miele, e attorno dei piatti colmi<br />
di cacio fresco spezzettato. Gli ultimi danzatori s’avvolsero in<br />
giro <strong>al</strong>la rustica mensa, non ancora abbattuti; e si sciolsero solo<br />
quando qu<strong>al</strong>cuno cominciò ad artigliare i pezzi del formaggio,<br />
che immergeva nel dolce liquido biondo e divorava con<br />
avidità. Tutti <strong>al</strong>lora si buttarono a gara sull’<strong>al</strong>imento come lupi<br />
affamati; pareva che da giorni non avessero gustato cibo.<br />
E tutta la natura prendeva parte a quella fine rumorosa<br />
di festa schietta con tutta la poesia del pomeriggio maggiolino.<br />
Forse il Presagio d<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>i nere volteggiava intorno per<br />
indurre ancora uomini e cose a profittare, fino <strong>al</strong> termine,<br />
dell’ora gioconda, perché quella doveva essere l’ultima festa<br />
lieta della fattoria?<br />
– Addio! Addio!<br />
Il vento recava la sfumatura di quella voce piangente<br />
che moriva nell’aria dorata del vespero, e tra il cupo verde<br />
della lontananza si distingueva appena lo sventolio convulso<br />
dell’ultima pezzola bianca.<br />
– Addio! Addio!<br />
Il medico, Silvio, il soldato, i musicanti, chi a piedi chi a<br />
cav<strong>al</strong>lo, dopo una breve sosta e un c<strong>al</strong>oroso grido, scomparvero<br />
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dietro la svolta. Parve che la frasconaia monotona e silenziosa<br />
se li fosse inghiottiti vivi, come un abisso.<br />
La famiglia di ziu Pasc<strong>al</strong>i tornò indietro d<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tana di<br />
massi, dove lo stormir degli elci pareva un fremito di pianto.<br />
Spiranza e Mena si distaccaron le ultime da quella triste<br />
vedetta, a cui pareva che una m<strong>al</strong>ia invincibile le incatenasse.<br />
Entrambe ricordarono quell’<strong>al</strong>tro indugio, quell’<strong>al</strong>tro colloquio<br />
e il mutuo abbraccio d’indulgenza che li aveva coronati,<br />
in quel tramonto che pareva ormai così lontano! Si guardarono<br />
negli occhi e si comunicarono a vicenda un senso di tristezza<br />
intensa.<br />
Per via le appostavano in agguato i ricordi. Ogni sasso,<br />
ogni sterpo, ogni ombra aveva impressa una memoria. Sulla<br />
polvere del sentiero si scorgevano chiare le pedate; i giochi<br />
della luce sull’erbe e sulle fronde riproducevano i colori<br />
vivaci degli abiti di festa: i piccoli echi riportavano <strong>al</strong> <strong>cuore</strong><br />
la voce delle bocche care.<br />
Ma anche l’oro p<strong>al</strong>lido che si effondeva sui sassi e sulle<br />
frasche, come vecchia vernice di povere cose morte, pareva velasse<br />
di quella stessa tinta sci<strong>al</strong>ba anche la mente e l’anima! La<br />
musica delle mandre, dove i servi <strong>al</strong>l’ora consueta mungevano<br />
l’armento e le gregge, pareva s’infiltrasse nell’animo penosamente,<br />
e spremesse dagli occhi le lacrime.<br />
Ecco là il pergolato. Cupo e silenzioso non serbava più <strong>al</strong>cuna<br />
traccia dell’ora festosa. Solo un cane randagio vi rosicchiava<br />
ancora gli ultimi avanzi d’un osso: e tra i pampani<br />
qu<strong>al</strong>che uccello solitario gemeva, evocando chi sa qu<strong>al</strong>e tristezza,<br />
e qu<strong>al</strong>che fronda frusciava tremolando come se sospirasse.<br />
Ecco lo spiazzo. V’era ancora, a un lato, la tavola, con<br />
sopra il recipiente capovolto e i piatti da rigovernare, in disordine…<br />
Per terra gli avanzi della merenda: strosce di vino, rosicchioli,<br />
cucchiai, forchette; e i segni del b<strong>al</strong>lo: come un’andana<br />
rotonda, per dove si girava. Sui sedili, solo i fantasmi.<br />
Per aria il plumbeo silenzio dell’astrazione. Qu<strong>al</strong>e vuoto! Non<br />
era più dunque l’<strong>al</strong>tura formicolante d’esseri vivi, animata di<br />
voci gaie, di fragori, di canzoni? Tutto dunque era morto?<br />
La capretta viziata si strusciò sulle gambe di Spiranza con<br />
belati di lamento per il lungo abbandono di quel giorno; trascurata<br />
ancora, ripeté la domanda delle carezze consuete. La<br />
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