Ghermita al cuore - Sardegna Cultura

Chilgu, e Stèvanu e Francisca l’abbiamo il babbo; Mario e
Annina Sirena hanno lo zio Andrea. Ma tu non ne hai! Vedi:
dov’è tuo padre?
– La mamma m’ha detto che è morto! – balbettò il poveretto.
– Oh?! – mormorò l’altro facendo spallucce.
E tornarono ai trastulli. Ma quella terribile domanda: –
Dov’è tuo padre? – rombava ormai nel piccolo animo tormentato
di Diadoru. Mangiavano in silenzio nella capanna
nera egli e la mamma, entrambi seduti attorno alla misera
panchetta, quando improvvisamente, con una gran tristezza
negli occhi, la fece cadere come un fulmine inatteso dinanzi
alla poveretta: – Mamma, dov’è dunque mio padre?
Ella non poté frenare un guizzo e le cadde il pane di
mano: impallidì. – Figlio mio – biascicò – non te l’ho detto
tante volte? È morto… per te. Ma… non parlarmene più
di queste cose… Non vedi che mi rattristano? Non voglio!
Anch’egli si rattristava, il piccolo ignaro; la sua povera
mente e il suo povero coricino erano tormentati da un grave
affanno. Tacque per un momento, ingollando il cibo di
mala voglia. Ma poi, vinto dal prepotente desiderio di sapere,
– Pascaleddhu ha detto – riprese – che non ho il padre.
Esso l’ha e Chilgu e Stèvanu e Francisca; Mario e Annina
l’hanno; ma io non l’ho. Mamma, perché non l’ho io, il
babbo?
Spiranza si sentiva la pena traboccare e tutti gli oggetti
che vedeva le si mutavano in visacci stravolti per atroce beffa.
– Figlio mio…, ma se è morto!
– No! non dev’essere così! – disse il fanciullo lasciando
di mangiare, e guardandola con occhi intelligenti e sempre
più tristi.
La giovane fu spaventata e sotto quello sguardo indagatore
e smanioso, si contorse un attimo come un albero spezzato:
il suo viso parve quello d’un agonizzante. – Figlio mio!
– mormorò con la morte sul labbro. – Chi te le dice tutte
queste cose?
– Pascaleddhu me le dice!
– Ebbene: più tardi lo farai venir qui, che gli ho da dir
qualche cosa io, a lui…
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– Ma il padre non vuole ch’egli ci venga, mamma… Perché
non vuole? E tu perché non ci vai mai in casa del nonno?
Le domande cominciavano a esser troppe, oramai, e molto
imbarazzanti. Di pallida che era Spiranza divenne di fiamma.
– Chiama tuo cugino, prima: dopo te lo dirò. Va!…
Il fanciullo venne, dopo aver ben guardato intorno, come
se dovesse penetrare in un covo; entrò sfrontatello e loquace.
– Chi te le dice tutte queste cose, Pascalè?
– Quali cose, zia?
– Le cose che hai detto a Diadoru e che non si devono
dire!…
– Eh! glie ne dico tante io a Diadoru! Che cosa non si
deve dire?
– Chi te l’ha detto a te che non ha padre Diadoru?
– Tutti l’hanno detto: anche i servi… E han detto che
voi non avete marito pure!
– Eh certo! – disse Spiranza tutta fremente. – Se Diadoru
non ha padre, io non ho marito!… È morto…
– Ehi! – esclamò il piccolo impertinente con maliziosa
aria d’incredulità.
La zia lo avrebbe voluto schiaffeggiare. Diadoru, per
istinto, avrebbe voluto morderlo. Egli sorrideva come se
nulla fosse.
– Quale servo te le ha fatte sapere queste cose belle, a te?
– Antoni Sula me le ha dette: ma anche gli altri!
– Oh lui?! Lo sapevo! – disse la donna sussultando.
– Miracolo, che lo sapevate! Ma altre cose m’ha detto: e
non le sapete!
– Altre cose? Che cosa? Dimmelo che cosa ha detto,
quel cattivo.
– Altre cose. Ma non ve le dico.
– Ti farò picchiare da tuo padre, se non me le dici.
– Ih! da mio padre, avete detto! Mio padre ne dice lui
anche di queste cose, sempre: con mia madre, quando sono
a letto, ne dicono sempre. Io le ascolto, quando non dormo…
Ih! da mio padre, ha detto!… Mio padre non vuole
di venirci, qui! e voi non ci venite mai in casa nostra…
La testa di Spiranza ribolliva a quelle parole roventi uscite
da labbra pure: si sentiva poi fissi nel cuore gli sguardi dolorosi
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