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Ghermita al cuore - Sardegna Cultura

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aver <strong>al</strong>tre prove di quella condotta indegna. Quanto avrebbe<br />

dato per sapere ciò che quel mentitore aveva risposto <strong>al</strong>la<br />

mamma! Ciò disgraziatamente era impossibile, e bisognava<br />

rassegnarsi. Poteva però forse imparar a conoscere più a fondo<br />

quel perfido, e, chi sapeva? trovar tra quei fogli qu<strong>al</strong>cosa<br />

d’inatteso che v<strong>al</strong>esse, se non a rimuovere, <strong>al</strong>meno a lenire il<br />

suo martirio.<br />

Volle riprender la lettura, e quasi gettò un piccolo grido.<br />

Inclusi nella stessa busta v’erano <strong>al</strong>cuni fogli scritti da<br />

un’<strong>al</strong>tra mano. «Forse una lettera di colei? Oh! Che cosa<br />

poteva ella scrivergli, la svergognata, per attirarselo di più,<br />

per rubargli il <strong>cuore</strong>?».<br />

Si mise a leggere avidamente, come un affamato a mangiare;<br />

ma s’accorse che le carte contenevano qu<strong>al</strong>che brano<br />

della risposta di Silvio. Qu<strong>al</strong> fortuna insperata! È vero che<br />

lo scritto era tutto segnato di cancellature e di sgorbi, ed era<br />

una brutta copia: ma le parole erano chiare abbastanza e,<br />

benché più stentatamente, poteva andar innanzi. Qu<strong>al</strong>i stimoli<br />

le pungevano i fianchi e qu<strong>al</strong>e ansia le faceva martellare<br />

il <strong>cuore</strong>! Troverebbe forse ciò che Silvio aveva risposto <strong>al</strong>la<br />

madre intorno <strong>al</strong>l’odiata Silvania; s’accerterebbe forse di<br />

tutto: lo scruterebbe fino <strong>al</strong> fondo dell’anima.<br />

Inc<strong>al</strong>zata d<strong>al</strong>l’impazienza, corse agli ultimi fogli, dandovi<br />

occhiate accese; lesse varie volte l’aborrito nome, e intravvide<br />

tra le righe dei misteri paurosi che l’attiravano come<br />

la voragine. Si contorse quasi per dolore fisico, si sentì<br />

soffocare. Poco dopo poté <strong>al</strong>quanto rimettersi e riprese la<br />

lettura da capo. I brani della minuta dicevano:<br />

«Ti maraviglierai ch’io prenda le difese di una terra che<br />

anch’io prima schernivo e temevo; ma la giustizia prima di<br />

tutto, si trattasse anche della bistrattata <strong>Sardegna</strong>!<br />

Io, vedi, ho pianto in segreto, quando mi si comunicò<br />

la notizia che dovevo venir qui, e mi pareva che la mia giovinezza<br />

superba di tante speranze fosse stata improvvisamente<br />

spezzata come una canna, e tutto il mio avvenire luminoso<br />

di visioni fosse stato oscurato da un bieco sogno di<br />

dolore. Quante lacrime, madre mia, quante lacrime! Tu<br />

non mi vedevi piangere, durante la mia breve permanenza<br />

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a casa; ma mi ha ben visto la cupoletta del giardino, la stanza<br />

solitaria, il letto: m’ha ben visto la rivoltella che ho impugnato<br />

varie volte nel cupo silenzio della notte, e ho avvicinato<br />

a questo cervello che bruciava, e a questo <strong>cuore</strong> che<br />

sussultava bramoso di finire atrocemente un supplizio che<br />

non mi dava l’animo di tollerare. All’esilio faticoso e doloroso<br />

in questa plaga desolata preferivo la morte.<br />

E come incontro <strong>al</strong>la morte io venni qua, con ogni entusiasmo<br />

giovanile spento nel <strong>cuore</strong>, con ogni luce della mia<br />

primavera smorzata nel pensiero. Che viaggio infelice, madre<br />

mia! Ho ancora in mente il solco doloroso.<br />

E la mestizia invincibile del mio animo fu ancora aumentata<br />

d<strong>al</strong>la tristezza vasta e silenziosa dei paesaggi sardi, appena<br />

ebbi messo piede nell’isola miseramente famosa. Provai<br />

però esser vero ciò che comunemente si crede: che gli spettacoli<br />

tristi si convengono ai cuori tristi. Infatti, da quelle solitudini<br />

mute, che tu attraversi pigramente col fardello delle<br />

tue prevenzioni e antipatie e dei tuoi pensieri di sconforto e<br />

dei tuoi ricordi torturanti d’un mondo luminoso e caro che<br />

hai abbandonato e col tedio mort<strong>al</strong>e di ogni cosa, senza veder<br />

per chilometri e chilometri un viso di cristiano; da quelle<br />

campagne brulle, in cui non stormiscono più che frasche<br />

e sughere e pruni, e nasce magra l’erba, e pascolano svogliatamente<br />

certe bestiole striminzite, e compare a grandi distanze<br />

qu<strong>al</strong>che misera abitazione umana, <strong>al</strong>la cui porta s’affacciano<br />

paurosamente ammassi ambulanti di stracci e di<br />

lordume; da quelle v<strong>al</strong>li fosche d’ombre e di misteri, che<br />

conservano ancora l’eco di delitti antichi, che la fantasia ti<br />

riporta in visione come presenti, e da cui attendi che sbuchino,<br />

da un momento <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro, le sinistre figure dei troppo<br />

celebri eroi della macchia e del sangue, con tutte le loro armi<br />

e con la loro ferocia; da quei monti rocciosi e nudi come<br />

ammassi smisurati di macerie m<strong>al</strong>edette e cosparse di s<strong>al</strong>e e<br />

di cenere: da tutto quello sterminato cimitero, sul qu<strong>al</strong>e ti<br />

pare dòmini un genio che mai abbia sorriso, emanava un<br />

soave senso di m<strong>al</strong>inconia che mi avvinceva l’anima.<br />

Così vissi triste <strong>al</strong>cuni giorni, quasi chiedendo conto a Dio<br />

dell’avermi fatto nascere per sb<strong>al</strong>estrarmi in questa Cajenna di<br />

miserie e di torture.<br />

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