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Ghermita al cuore - Sardegna Cultura

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le carezze e le buone parole; non avevano approdato a nulla.<br />

Fosse pur lieto quanto si voleva, ridesse anche di buon<br />

<strong>cuore</strong> negli istanti d’oblio, egli diventava improvvisamente<br />

triste triste, si corrucciava tutto, appena quel povero nome<br />

inatteso cadeva, come sasso su lucide acque c<strong>al</strong>me, a conturbargli<br />

ogni <strong>al</strong>legrezza. – Il figlio portatelo qui quando<br />

volete! Che colpa ne ha l’innocente? Ma essa, mai! –. E si<br />

chiudeva come antico guerriero corazzato di ferro, entro la<br />

fortezza inespugnabile del suo barbaro cruccio.<br />

M<strong>al</strong>cu era forse colui che le dava meno fastidi. Qu<strong>al</strong>che<br />

volta s’avvicinava anche <strong>al</strong>la capanna, quando sapeva di<br />

non esser visto d<strong>al</strong> padre e d<strong>al</strong> fratello, ed entrava a passare<br />

qu<strong>al</strong>che minuto con lei. Le parlava di leggerezze, è vero, e<br />

di pettegolezzi; ma aveva il viso un po’ più da cristiano e<br />

non sputava sempre fiele.<br />

Solo quando era un po’ <strong>al</strong>ticcio la tormentava <strong>al</strong>quanto.<br />

Allora veniva da lei senza paura di nessuno, da coraggioso, e<br />

aveva la fissazione di parlarle sempre di Silvio. Ella rabbrividiva,<br />

<strong>al</strong> primo suono di quel nome, si sentiva tutta ardere, tremava<br />

e si contorceva: t<strong>al</strong>volta si stringeva <strong>al</strong> seno il figliolino,<br />

quasi per isolarsi con lui lontano, più lontano ancora, da tutti,<br />

e speci<strong>al</strong>mente da colui, d<strong>al</strong> traditore. Ma egli continuava a<br />

chiacchierare senz’accorgersi del suo tormento, a vanvera, come<br />

meglio poteva. – Che credi? Io son buono d’andar lassù in<br />

Continente, di prenderlo per il collo e di buttarlo in mare!<br />

Che credi? Ha fatto presto a fuggire, il cane randagio! se no,<br />

faceva i conti con M<strong>al</strong>cu Luna! Pezzo di g<strong>al</strong>era! E lui come un<br />

angelo, con mille complimenti, con mille parole amorose.<br />

C’era da confidargli anche la santa Ostia consacrata, che non<br />

son degno neanche di nominarla! Pareva come un sant’Antonio,<br />

quand’era là sopra, coricato come un moribondo; avrei<br />

dato anche del mio sangue per non vederlo soffrire a quel<br />

modo! Uh! se avessi saputo ciò che doveva capitare! Non si sarebbe<br />

levato, no, l’ira di Dio! L’avrei strozzato come si strozza<br />

una biscia! Ma ha saputo ben simulare, m<strong>al</strong>edetto sia, ferire e<br />

fuggire a tempo, che non trovi più pace neppure per quanto<br />

si dice amen, e non trovi pane neanche quanto un bruscolo…<br />

Chi ne sa però che non mi càpiti di rivederlo? Cosa credi<br />

tu ch’io gli farei, se il diavolo mi concedesse tanta fortuna?<br />

198<br />

«Buon giorno, g<strong>al</strong>antuomo!» gli direi! «ho tanto tanto piacere<br />

di rivederla! Mi dia qua codesta mano pulita, diavolo! Non<br />

mi ravvisa più? Eh, la brutta memoria! Non mi ricorda? Sono<br />

il fratello di quella poveretta, io! di quella poveretta, che era il<br />

vanto della famiglia, più bella d’un <strong>al</strong>bero fiorito, e che lei ha<br />

ridotto la donna più miserabile e ha buttato poi sul letamaio.<br />

Sono M<strong>al</strong>cu Luna, sa! Mi stringa la mano, vecchia conoscenza!».<br />

E gli piomberei addosso, m’ammazzino, per mangiarmelo<br />

vivo vivo! Non ci credi tu dunque? Ah! così son fatto io: io<br />

non chiacchiero. Accenda pure una candela <strong>al</strong> diavolo, il signor<br />

Silvio Ròndani (che la ronda dei soldati lo colga e lo fucili<br />

in mezzo <strong>al</strong>la via!): se i nostri occhi s’incontrano, le porte<br />

dell’inferno per lui sono aperte! Te lo promette M<strong>al</strong>cu Luna!<br />

E continuava ancora, acc<strong>al</strong>orandosi sempre di più a mano<br />

a mano che il vino gli bolliva nello stomaco e le idee gli<br />

rifervevano nella mente, parlando agli oggetti come se fossero<br />

cristiani, gestendo animatamente, apostrofando ombre,<br />

urlando, sghignazzando.<br />

Quand’egli se n’era andato, ella restava per un pezzo con<br />

le orecchie intronate da quel chiacchierio sconclusionato,<br />

con la vista occupata di quella figura annaspante e dondolante.<br />

E le memorie più dolorose l’ass<strong>al</strong>ivano, e le riflessioni più<br />

tristi le oscuravano la mente: tutte le vecchie piaghe si riaprivano<br />

e si rinciprignivano.<br />

Qu<strong>al</strong>che volta veniva <strong>al</strong>la fattoria anche Jacheddhu Ruoni,<br />

forse per saziarsi del suo abominio. Da lontano egli cominciava<br />

ad annunziarsi con la sua voce stentorea, discorrendo<br />

in <strong>al</strong>to per farsi avvertire, chiamando con gridi persone<br />

che non comparivano, con sganasciate, con celie, con frizzi.<br />

Pareva che tutto il mondo fosse nel suo pugno, e invadeva<br />

tutto il piccolo dominio come un padrone, empiendo tutto<br />

del suo vocione, l’orto, il giardino, le capanne. Passava anche<br />

molto vicino <strong>al</strong> suo st<strong>al</strong>luccio, ostentando dimenticanza; ne<br />

rasentava il muro strepitando ancor più forte, parlando di<br />

cose <strong>al</strong>legre, di feste, di b<strong>al</strong>li, di nozze, di fanciulle: s’accostava<br />

<strong>al</strong>la porta quasi per sbadataggine, volgendo le sp<strong>al</strong>le, fingendo<br />

di prender misure di distanze e di avvistare il peso delle<br />

bestie pascolanti, e lanciava <strong>al</strong>lora quelle ch’egli credeva le<br />

sue frecce più infocate.<br />

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