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Ghermita al cuore - Sardegna Cultura

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trasognato, lo scrollò come un pennecchio ruggendo nella<br />

strozza, e con irose imprecazioni gli aprì gli occhi, e con invettive<br />

ch’eran schiocchi di frusta, e con insulti ch’eran sferzate<br />

a sangue, gli pose nel <strong>cuore</strong> una Furia.<br />

Fu <strong>al</strong>lora che Girominu si postò nella selva, e vide coi<br />

propri occhi. Nulla di m<strong>al</strong>e vide, grazie a Dio; ma udì il colloquio<br />

e si presentò a tempo. E dopo che quel cane vile, lasciata<br />

la designata preda, era scomparso tra le stipe come cign<strong>al</strong>e<br />

braccato, sottraendosi lesto, m<strong>al</strong>edizione! <strong>al</strong> tiro del suo<br />

schioppo, egli si buttò, urlando su la sorella, la schiaffeggiò lasciandole<br />

sulle guance le ditate di fiamma; la trascinò sui cespugli<br />

per le chiome, senza che quella capra scostumata mettesse<br />

un sospiro. Poi ella si levò, sentendosi investita da una<br />

vampa di furore, gli si scaraventò addosso come una tigre, lo<br />

graffiò sul viso, gli incarnò le unghie nel collo, l’atterrò. Aggrovigliati<br />

s’avvoltolarono tra i sassi del prunaio, con tutto il<br />

veleno suggellato nel <strong>cuore</strong> senza lo sfogo di un grido, tra il<br />

lamentìo atterrito d’ogni creatura viva di quei pressi.<br />

Da quel giorno la casa fu tutta un sobbollimento. I pasti<br />

si consumavano in silenzio, i pastori più non cantavano<br />

nelle mandre, lo stesso tintinnio dei campani sembrava più<br />

cupo, più triste strepitava il telaio; e di quando in quando,<br />

a ogni minimo cozzo di opinioni, eran gridi di collera, urli<br />

d’ira, gemiti e pianto.<br />

I figli tornavan d<strong>al</strong> lavoro come bracchi stanchi, si lasciavano<br />

andare sugli scanni con rantoli sordi, s’avvicinavano<br />

<strong>al</strong>la mensa senza fame. I vecchi vedevano forse per l’aria,<br />

nei canti bui, strane figure non viste da nessuno, e su esse<br />

sbarravano lo sguardo, fissi e intenti; e si rinvenivano con<br />

certi sospironi accesi che parevan schianti del <strong>cuore</strong>. Mena<br />

era una pena viva; Spiranza la imagine d’una doglia muta.<br />

E tra i nodi di rocce, e nelle conche si tennero <strong>al</strong>tri<br />

conciliaboli tra i Luna e i Ruoni, anche nel cor della notte.<br />

Ziu Pasc<strong>al</strong>i e Niccòla mancarono anche d<strong>al</strong> monte per due<br />

volte: <strong>al</strong>tre volte mancarono Giromìnu e Jacheddhu. Gli<br />

uni e gli <strong>al</strong>tri furon veduti a Tempio bussare d<strong>al</strong>la porta di<br />

amici di conto, trattenersi in quelle case delle ore, e uscirne<br />

poi con certe arie or d’ombra or di luce, e <strong>al</strong>lontanarsi per<br />

lo stradone parlando e gestendo da soli.<br />

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Spiranza qu<strong>al</strong>cosa seppe di queste manovre misteriose,<br />

qu<strong>al</strong>cosa sospettò. La sua vita era tutta una trepidazione. La<br />

notte dormiva poco e m<strong>al</strong>e: ogni sera, quando andava a letto,<br />

le pareva di veder accanto <strong>al</strong> guanci<strong>al</strong>e la figuraccia lercia<br />

di zia M<strong>al</strong>tìna, che le ripetesse sghignazzando la profezia<br />

m<strong>al</strong>edetta: «Veglierai per cent’anni!». E le sembrava che<br />

l’avveramento fosse incominciato. Quest’idea, fissa nella<br />

mente come chiodo, fugava da lei il sonno, le scompigliava<br />

i nervi, le bruciava il sangue.<br />

Le giornate mute erano eterne, e il dolore senza sfogo le<br />

si agitava tutto nell’animo per ore e ore con certi roncigli<br />

che le penetravano nelle carni e le davano il capogiro. Così<br />

anche la sua s<strong>al</strong>ute sembrava danneggiata: il suo passo diveniva<br />

stanco, la sua faccia bianca; gli occhi le s’infossavano.<br />

Pareva che una subitanea fiamma avesse avvampato quella<br />

rosa in fiore.<br />

Ella se ne stava a lungo in disparte, nel giardino, nell’orto,<br />

lavorando <strong>al</strong>l’ombra; ma spesso gli oggetti le cadevano<br />

di mano, e guardava, guardava verso la punta del Limbara,<br />

se mai comparisse da un momento <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro quella<br />

solita macchia nera che ingrandiva a vista d’occhio; e si sentiva<br />

il <strong>cuore</strong> fuggirle d<strong>al</strong> petto, quando qu<strong>al</strong>che aquila o avvoltoio<br />

si mostrava improvvisamente nella chiarezza crist<strong>al</strong>lina,<br />

e si librava solenne, immobile, quasi senza vita. Ma<br />

tosto, conosciuto l’inganno, ripiombava nella cupezza dei<br />

suoi pensieri, nel martirio disperato dell’attesa vana.<br />

Venivano <strong>al</strong>tri uccelli, ma il maraviglioso volatile di legno<br />

e ferro più non veniva. Più non veniva, perché un giorno Giromìnu,<br />

appena l’odiato bruscolo era comparso lontano, aveva<br />

brandito quella stessa arma assassina, e non curante delle<br />

grida di spavento delle donne, era b<strong>al</strong>zato sullo spiazzo e aveva<br />

aspettato ansante il momento di farla finita. Ed ella s’era<br />

precipitata fuori, aveva preso il sentiero delle capre, aveva<br />

corso come una folle, cadendo, ri<strong>al</strong>zandosi, senza sentir le<br />

trafitture dei pruni, per giungere in tempo a gridare a lui,<br />

gridare, gridare, con tutta l’anima nella voce, e far cenno che<br />

fuggisse, fuggisse… Egli era tornato indietro, era scomparso…<br />

Il rombo della fucilata, sparata per rabbia, era stato il<br />

s<strong>al</strong>uto di congedo.<br />

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