Ghermita al cuore - Sardegna Cultura
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La vetta eccelsa del monte, tenuamente velata da piccole<br />
nuvole bianche screziate da riflessi di rosa, pareva un immenso<br />
mucchio di massi d’oro offerto d<strong>al</strong>la terra <strong>al</strong> cielo; e<br />
per la china e per le v<strong>al</strong>li era un gioco incantevole di luci e<br />
d’ombre, con b<strong>al</strong>eni improvvisi e fuggevoli, con la più varia<br />
gradazione di colori; e nel confine del visibile, dopo fughe<br />
di poggi e di piani, sulla linea ondulata e indefinita, spiccavano<br />
nella chiarità celeste i profili azzurri di Monte Santo,<br />
sfumati con tinte di sogno, aureolati d’iride.<br />
Di tanto in tanto dai sentieruzzi delle coste s’avanzavano<br />
piccoli gruppetti di pastori, uomini e donne, che venivano<br />
dagli stazzi delle vicinanze per prender parte <strong>al</strong>l’opera<br />
e <strong>al</strong>la festa. Essi s’eran sbrigati in quattro e quattr’otto della<br />
loro breve faccenduola: (si faceva presto a segnar quattro<br />
agnellette!) e venivano per dar mano <strong>al</strong>la segnatura lunga e<br />
complessa del bestiame di ziu Pasc<strong>al</strong>i, il più ricco pastore<br />
della contrada, in vacche, pecore, capre, porci e cav<strong>al</strong>li.<br />
I maschi eran giovanotti aitanti, vestiti di vellutino, col<br />
cappello a larghe tese, con la camicia di neve, con la catena<br />
dell’orologio luccicante sul petto, col fucile imbracciato.<br />
Tra di essi qu<strong>al</strong>che vecchio in costume region<strong>al</strong>e, qu<strong>al</strong>che<br />
<strong>al</strong>tro ammodernato con grossi cerchi d’oro <strong>al</strong>le orecchie.<br />
Le donne eran ragazze svelte, dagli occhioni luminosi,<br />
vestite di perc<strong>al</strong>le fiorito di colori vivi, col capo coperto da<br />
fazzoletti di seta o da sciarpe frangiate, e con le dita luccicanti<br />
di anelli d’oro e il petto di fermagli d’oro. Qu<strong>al</strong>cuna<br />
aveva anche il ventaglio e l’ombrellino.<br />
Venivano, s<strong>al</strong>utavano da lontano, sorridendo, e stringevano<br />
la mano a tutti, anche ai soldati che non conoscevano,<br />
rivolgendo a tutti un complimento stereotipato. Le donne<br />
s’abbracciavano, si baciavano su tutte e due le guance: e gli<br />
schiocchi provocavano i frizzi degli impertinenti.<br />
– I baci di comare Cat<strong>al</strong>ina sembrano scariche a mitraglia!<br />
– Comare Rosèddha ha fatto cecca! Ah!<br />
– Udite, udite che coppiola!<br />
– Quella lì v’ha morsicato, comare Lucrezia: avete ancora<br />
le dentate sulla guancia!<br />
Le fanciulle avevan vergogna dei due sconosciuti; ma<br />
qu<strong>al</strong>cuna non aveva peli sulla lingua. – Parlate per invidia!<br />
– gridava. – Abbracciate i becchi se avete voglia di baciare!<br />
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Sprilli di riso schizzavano per forza d<strong>al</strong>le bocche chiuse<br />
con le mani.<br />
Spiranza e Mena, che avevano anch’esse indossato uno<br />
dei loro vestiti di festa, facevan gli onori di casa, e ricevevano<br />
le amiche cordi<strong>al</strong>mente, dandosi però da fare attorno,<br />
perché molte cose rimanevano ancora da disporre. E le sopraggiunte<br />
davan tosto una mano.<br />
Altrettanto facevano gli uomini: – Ziu Pasc<strong>al</strong>i, che cosa<br />
c’è da fare?<br />
– Oh, Gilgòlu, fa questo. E tu, Janni, fa quest’<strong>al</strong>tro. A te,<br />
Mimmiu! Ma non v’affatticate tanto, ragazzi. Grazie a Dio,<br />
siamo in molti. Vede, signor Silvio, quanti buoni figli ho io!<br />
– Dio volesse, zio Pascà! – gridava un caposcarico – che<br />
fossimo tutti vostri figli! Almeno ci empiremmo il buzzo<br />
ogni giorno!<br />
– Ma io vi farei anche stracanare per bene, ragazzacci!<br />
– E noi lavoreremmo volentieri. Ci volete?<br />
– Ebbene: cominciate a lavorare, intanto.<br />
Ma non c’era bisogno di stimolo. E chi apriva la c<strong>al</strong>laia<br />
per lasciare in libertà le pecore segnate, e chi il cancello della<br />
mandra murata per mandar via le capre; chi si incaricava<br />
dei vitelli, chi dei capretti, chi delle agnelle; chi trasportava<br />
<strong>al</strong>la capanna del cacio gli ultimi secchi di latte; chi acciambellava<br />
le lacciaie; chi affilava ben bene i coltelli; chi spazzava<br />
con frasconi l’ovile; chi deponeva sul sentiero i brevi benedetti<br />
che preserverebbero le bestie da m<strong>al</strong>i sconosciuti;<br />
chi faceva una cosa, chi un’<strong>al</strong>tra.<br />
Silvio era ammirato di quel formicolio, e il soldato campidanese<br />
non si poteva astenere d<strong>al</strong> prender parte <strong>al</strong> lavoro<br />
con piccoli gridi.<br />
La segnatura cominciò dai vitellini. Il segno del bestiame<br />
di ziu Pasc<strong>al</strong>i era un foro rotondo nell’orecchio destro. Il segnatore<br />
ripiegava in due l’orecchio della bestia tenuta da un<br />
<strong>al</strong>tro per le cornicina e col coltello tagliava via il pezzetto con<br />
taglio circolare. Il povero anim<strong>al</strong>e mugolava per il dolore, e<br />
appena lasciato libero si dava a corsa sfrenata dentro il chiuso,<br />
scrollando la testa come se avesse il baco, spruzzandosi di<br />
sangue il collo, spruzzando l’erbe e le frasche. Quando i feriti<br />
furon molti, il mugolio pietoso divenne una babilonia e le<br />
fughe diventaron pazze, assillanti.<br />
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