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Ghermita al cuore - Sardegna Cultura

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delle immense vasche tranquille, che pur riflettevano per<br />

ogni <strong>al</strong>tra vista puri cieli di cob<strong>al</strong>to! Quante volte perciò, zio<br />

mio, ho pensato se non fosse meglio, per non vivere così fuori<br />

di sé e così miseri, andar a finire in fondo a quella liquida<br />

pace o cadere travolto in quel rovinio d’acqua in piena, di<br />

scoglio in scoglio, fino <strong>al</strong>la fine!<br />

Mi ha distolto d<strong>al</strong> disperato passo il timore di Dio, e la<br />

figura stravolta di una donna che amo, o zio, e che ha bisogno<br />

dell’amor mio come il corpo affamato ha bisogno dell’<strong>al</strong>imento;<br />

di quella donna che voi disprezzate e forse odiate,<br />

benché le scorra nelle vene lo stesso vostro sangue, e che<br />

non merita d’essere odiata, <strong>al</strong>meno per tutto ciò che ha patito;<br />

la figura stravolta di mia madre, o zio. Io l’ho vista codesta<br />

dolorosa, che non ha più avuto una gioia, supplicarmi<br />

con le mani unite, ancora come l’ultima volta, e aggrapparsi<br />

a me come <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>vazione: e io mi sono arrestato sulla<br />

sponda del precipizio, fatto di marmo come gli <strong>al</strong>tri mostri<br />

scolpiti.<br />

E la medesima imagine benedetta, che mi accompagna<br />

come angelo tutelare, mi ha preservato anche d<strong>al</strong> delitto.<br />

Vedete: ho comprato la rivoltella, l’ho ben caricata, l’ho presa<br />

con me in tasca, l’ho tenuta anche in ufficio. Egli, l’odiato,<br />

mi stava di fronte, seduto <strong>al</strong>la sua scrivania, inerme, curvo<br />

sulle carte, ignaro della tempesta che mi ribolliva nel<br />

cervello e mi sconvolgeva tutto l’essere, forse intenerito da<br />

una visione di bontà e di dolcezza, forse mormorante a fior<br />

di labbra o in segreto un nome caro, forse deliziato da una<br />

memoria lontana, risorta nella sua mente. Bastava che gli fossi<br />

andato vicino col consueto obbligato contegno di schiavo<br />

davanti <strong>al</strong> padrone, mi fossi collocato dinanzi a lui in vigliacca<br />

posizione di insidia sicura, avessi tratto bel bello di<br />

tasca il gingillo micidi<strong>al</strong>e che p<strong>al</strong>pavo come un oggetto caro<br />

ereditato da un morto, glie l’avessi accostato piano piano <strong>al</strong><br />

<strong>cuore</strong> sotto le carte sciorinate in aria che gli assorbivano lo<br />

sguardo e la mente, avessi sgrillettato senza tremare, per vederlo<br />

riverso, annaspante, agonizzante nel proprio sangue.<br />

Oh qu<strong>al</strong> orribile sogno, zio mio! qu<strong>al</strong>e spettacolo tremendo<br />

che, anche non essendosi svolto re<strong>al</strong>mente, mi sta così scolpito<br />

nella fantasia, come se l’avessi veduto con gli occhi!<br />

244<br />

E la vista della signora, che pur non amo, riversa su quel<br />

cadavere forato da una p<strong>al</strong>la e versante sangue a fiotti (il<br />

mio sangue, zio!), la vista di quel povero fanciullo (di mio<br />

fratello!) urlante su quel corpo freddo e insensibile a ogni<br />

sua disperata carezza mi perseguita come se io avessi commesso<br />

il delitto.<br />

Che sarebbe dunque di me se io veramente lo consumassi?<br />

In qu<strong>al</strong> canto della terra potrei più trovar pace? Qu<strong>al</strong><br />

filo d’erba, qu<strong>al</strong> granello di polvere, qu<strong>al</strong> bruscolo non mi<br />

griderebbe dovunque l’orribile titolo: «assassino! parricida!»?<br />

Ditelo voi, mio zio, se mi amate davvero. No: in questo io<br />

non posso assolutamente obbedirvi. In tutt’<strong>al</strong>tro io mi strascinerei<br />

umilmente per terra, per contentarvi; ma in questo,<br />

vogliatemi perdonare, io obbedisco <strong>al</strong>la voce di Dio che mi<br />

comanda di non sparger sangue, <strong>al</strong>la voce del mio <strong>cuore</strong> che<br />

è di cristiano e non di belva, <strong>al</strong>la voce di quell’anima travagliata<br />

che da lontano – lo sento – in nome delle sue pene mi<br />

scongiura ogni istante e prega ardentemente per me.<br />

Vorrei pregarvi, zio carissimo, supplicarvi in ginocchio,<br />

per indurvi a mutar pensiero voi stesso: vorrei ricordarvi che<br />

un giorno dovremo render ragione a un Giudice rigoroso,<br />

non solo del m<strong>al</strong>e che noi stessi abbiamo fatto, ma anche di<br />

quello che abbiamo fatto fare, non solo del sangue effettivamente<br />

da noi sparso, ma anche di molti assassinî consumati<br />

da noi nel <strong>cuore</strong>. Ma voi siete uomo fatto, zio Giromì, e io<br />

son ragazzo. Se non fossi quel disgraziato ch’io sono, queste<br />

cose dovreste dirle voi stesso a me, non io a voi.<br />

Spero pertanto che a quest’ora voi abbiate già scosso<br />

d<strong>al</strong>l’animo le vostre severe intenzioni, e siate per assolvermi<br />

da una disubbidienza, che in forza di ogni legge divina e<br />

umana son obbligato a commettere. E con questa speranza<br />

vi raccomando di rassicurar mia madre, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e desidererei,<br />

se non chiedo troppo, che fosse comunicata la presente.<br />

«Vi abbraccio tutti di <strong>cuore</strong>, mentre con questo sfogo<br />

mi par d’essere risorto e mi scorrono dagli occhi lacrime di<br />

commozione; e con affetto reso più intenso d<strong>al</strong>la più terribile<br />

pena della mia vita, come ferro temperato d<strong>al</strong> fuoco,<br />

mi dico per sempre vostro sventurato, ma onesto nipote –<br />

Diadoru».<br />

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