Ghermita al cuore - Sardegna Cultura
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impedisce che si parli <strong>al</strong> superiore, eccetto che per ragioni<br />
d’ufficio: i compagni mi dicevano che per il maggiore Ròndani<br />
quell’umore così tetro era assolutamente una novità: e<br />
neppure essi ci capivan nulla.<br />
Il quarto giorno, il signor maggiore fece <strong>al</strong>lontanare d<strong>al</strong>la<br />
s<strong>al</strong>a con un pretesto qu<strong>al</strong>unque tutti gli scrivani, e mi chiamò<br />
dentro il suo scrittoio. Dopo un istante di tormentosa lotta<br />
(come mi sembrò) quasi b<strong>al</strong>bettando mi chiese: – «Dunque<br />
voi vi chiamate…?». «Teodoro Luna» risposi. «E vostro padre?».<br />
Io divenni di brace, mamma; e non potei rispondere:<br />
no, in quel momento non potei rispondere. (Mamma venerata<br />
e adorata, non pigliatelo per rimprovero e non vogliate<br />
addolorarvi per questo. Volete ch’io non arrossisca della m<strong>al</strong>a<br />
sorte?). Egli finse d’aver sbagliato, vedendomi così sulle spine,<br />
e non aspettando quella risposta ch’egli (ne son certo) sapeva<br />
non dovesse venire: «E vostra madre?» disse sùbito.<br />
«Spiranza Luna!» biascicai tosto, molto triste. (E non v<strong>al</strong>se<br />
neanche il vostro bel nome a consolarmi). Egli che (son certo)<br />
sapeva, non poté frenare uno scatto, a quel nome: e per<br />
mitigare l’effetto che produceva in me il suo strano modo<br />
d’agire, fece le maraviglie. «Oh!» esclamò. Io non potei tenermi<br />
in corpo la domanda: «La conosce, signor maggiore?».<br />
Egli si fece brusco, indi guardò per la finestra tutta aperta, da<br />
cui si vedeva chiaramente il Vesuvio col suo pennacchio di<br />
fumo. Poi, come se si trattasse d’una cosa da nulla, d’un ricordo<br />
relegato nei canti più oscuri del cervello, rispose: «Può<br />
anche darsi che l’abbia conosciuta. Ne ho conosciuto tante<br />
di ragazze, in G<strong>al</strong>lura! Se mi diceste qu<strong>al</strong>che particolare, forse<br />
potrebbe risovvenirmi di lei». «Speranza Luna, figlia di Pasqu<strong>al</strong>e»<br />
dissi tosto io «e di Francesca Giudeddhu. Vive sul<br />
Limbara con due fratelli, Gerolamo e Marco, e una sorella s’è<br />
sposata con un certo dottor Andrea Sirena…». Non mi fermai<br />
finché non gli feci conoscere, o piuttosto ricordare, interamente<br />
lo stato person<strong>al</strong>e della famiglia nostra; e questo,<br />
non per un gusto sterile, o mamma! Il sospetto aveva cominciato<br />
a sorgermi nel cervello, come quelle piccole nuvole che<br />
compaiono inaspettate sull’orizzonte; e appunto come queste<br />
invadono il cielo, era andato invadendo il mio pensiero e annerendolo<br />
a mano a mano ch’io leggevo sul viso del mio<br />
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ascoltatore l’effetto che tutti quei nomi, uno dopo l’<strong>al</strong>tro,<br />
producevano nel suo animo. Pover’omo faceva pena!<br />
Ed io ne ebbi veramente pietà. Lo volli liberare d<strong>al</strong><br />
martirio. «Ma già!» mi corressi io sotto la maschera del<br />
pentimento. «Che importa a lei delle nostre povere cose?<br />
Mi scusi, signor maggiore!». «Prego! anzi!» gli scappò detto,<br />
come se parlasse, non a un povero soldatuccio (che egli pur<br />
poteva colmare di vilipendi e sputargli anche in faccia senza<br />
che il misero avesse il minimo diritto d’<strong>al</strong>terare il suo viso<br />
attento), ma a un suo ugu<strong>al</strong>e. Poi si volle correggere e pentire<br />
anch’esso, ma non vi riuscì. Indi confessò: «Mi pare<br />
certo d’averli uditi <strong>al</strong>tre volte tutti quei nomi! Ma son passati<br />
tanti anni… E poi, ti ripeto (gli scappò detto proprio<br />
ti)… vi ripeto!… ne ho conosciuta tanta di gente in <strong>Sardegna</strong><br />
e in G<strong>al</strong>lura…». «Se non le dispiace: quando è stato in<br />
<strong>Sardegna</strong>, signor maggiore?» gli chiesi io, fingendo d’esser<br />
gentile. «Eh!» rispose vagamente; «che volete che vi dica? Il<br />
numero preciso degli anni non lo rammento… Così a occhio<br />
e croce… potrà essere una ventina d’anni…». (E io ho<br />
proprio vent’anni, mamma!). «E che cosa era andato a fare<br />
in G<strong>al</strong>lura, se mi permette?». «Eh, caro mio!» scattò egli.<br />
«Pare che siate molto curioso! Abbiamo già perduto troppo<br />
tempo in chiacchiere che non si attengono <strong>al</strong> vostro còmpito.<br />
Andate e lavorate, e fate attenzione… E sopra tutto ricordatevi<br />
che siete soldato!».<br />
Io mi finsi umile (me le vorrete perdonare tutte queste<br />
finzioni, povera mamma mia?) e presi le cartelle per andarmene.<br />
Ma lo sbirciai, e m’accorsi che quella burbanza era<br />
solo a fior di pelle. Il maggiore sospirava, rannuvolato in<br />
volto, con gli occhi imbambolati, non procedeva un rigo<br />
nel penoso lavoro: e quelle certe occhiate tutte una m<strong>al</strong>inconia<br />
erano più frequenti. Come s’era ingigantito il mio sospetto!<br />
Come sentivo torturato il mio povero <strong>cuore</strong>! Come<br />
mi sentivo infelice!<br />
Appena egli fu uscito, io frugai tra le carte riposte per<br />
scovar qu<strong>al</strong>che documento firmato da lui. In qu<strong>al</strong>cuno egli<br />
aveva premesso un S. <strong>al</strong> cognome: in certi <strong>al</strong>tri aveva scritto<br />
il nome per disteso: Silvio Ròndani. Lo stesso rispettabile<br />
nome del vostro seduttore vile, povera mamma mia!<br />
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