la grammatica - Homolaicus
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se, a est il cata<strong>la</strong>no (simile al provenzale); in Romania i contadini conservarono<br />
<strong>la</strong> loro lingua di origine <strong>la</strong>tina, che diventò ufficiale nel XVI secolo.<br />
In Italia riemergono i vari substrati pre-<strong>la</strong>tini, che però restano per<br />
molto tempo senza scrittura, in quanto alle necessità dello scrivere - testi<br />
scientifici, filosofici, teologici, giuridici - continuano a provvedere col <strong>la</strong>tino<br />
gli ecclesiastici. Tali substrati si mesco<strong>la</strong>no con popo<strong>la</strong>zioni straniere<br />
che, stanziatesi in territori diversi del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, par<strong>la</strong>no linguaggi completamente<br />
diversi: Longobardi, Greco-Bizantini, Franchi, Arabi, per citare<br />
solo i più importanti.<br />
In una situazione del genere, il <strong>la</strong>tino par<strong>la</strong>to evolve inevitabilmente<br />
per suo conto, mentre per <strong>la</strong> conservazione di quello scritto si preoccupa<br />
<strong>la</strong> chiesa. E così il bilinguismo tra par<strong>la</strong>to e scritto riproduce, in un certo<br />
senso, il distacco fra le élites dotte e le masse degli analfabeti: non a caso<br />
nel<strong>la</strong> funzione del<strong>la</strong> messa l'aspetto liturgico vero e proprio viene recitato in<br />
<strong>la</strong>tino, mentre l'omelia è sempre pronunciata in volgare (o comunque esiste<br />
l'obbligo, a partire dagli inizi del IX sec., di tradur<strong>la</strong> in volgare).<br />
Ciò significa che è impossibile ricostruire <strong>la</strong> nascita dei vari dialetti<br />
italiani. Delle trasformazioni del <strong>la</strong>tino par<strong>la</strong>to si hanno pochissimi documenti<br />
ed essi non riproducono <strong>la</strong> lingua par<strong>la</strong>ta del popolo nel<strong>la</strong> sua genuina<br />
spontaneità, ma una lingua che il popolo potesse capire, e<strong>la</strong>borata quindi<br />
da intellettuali.<br />
Dunque, nonostante <strong>la</strong> formazione delle cosiddette «lingue romanze»,<br />
<strong>la</strong> chiesa di Roma, con <strong>la</strong> rinascita carolingia promossa dal monaco anglosassone<br />
Alcuino di York, grande consigliere culturale di Carlo Magno,<br />
si ripristinò il <strong>la</strong>tino scritto nelle forme c<strong>la</strong>ssiche, separandolo completamente<br />
dal volgare. Il potere politico-religioso cominciò a servirsi dello strumento<br />
del<strong>la</strong> lingua scritta come di un'arma strategica con cui tenere sottomesse<br />
le genti illetterate, le masse contadine analfabete.<br />
Ufficialmente si sosteneva che tale comportamento era dettato dal<strong>la</strong><br />
persuasione che il volgare fosse un modo di esprimersi rozzo, primitivo,<br />
estraneo a qualsiasi rego<strong>la</strong>, da non poter reggere il confronto col <strong>la</strong>tino, che<br />
invece era un sistema linguistico perfetto, immutabile, armoniosamente guidato<br />
da regole <strong>grammatica</strong>li. Il volgare andava bene per par<strong>la</strong>re o per scrivere<br />
qualche appunto, ma se si doveva scrivere qualcosa d'importante, di<br />
artistico o di solenne bisognava ricorrere al <strong>la</strong>tino, l'antica lingua dei dotti e<br />
degli artisti.<br />
La decisione fu talmente antistorica che persino negli ambienti ecclesiastici<br />
franco-tedeschi (come dimostra il concilio di Tours dell'813) si<br />
esortavano i vescovi a tradurre le omelie dal <strong>la</strong>tino «al<strong>la</strong> lingua romana rustica<br />
o al tedesco». Il <strong>la</strong>tino medievale veniva infatti usato quasi esclusivamente<br />
dai chierici (clero rego<strong>la</strong>re e seco<strong>la</strong>re).<br />
A tutt'oggi le lingue diverse dall'italiano, che non hanno origini <strong>la</strong>-<br />
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