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la grammatica - Homolaicus

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assai differenziate, adoperava, par<strong>la</strong>ndo, dialetti molto diversi tra loro.<br />

Il <strong>la</strong>tino veniva ancora usato nel<strong>la</strong> trattatistica filosofica e scientifica,<br />

nei congressi dei dotti, nei tribunali (giudici ed avvocati par<strong>la</strong>vano in <strong>la</strong>tino,<br />

gli imputati in volgare), nel<strong>la</strong> medicina, nell'insegnamento universitario<br />

di tutta Europa. Tuttavia, nelle più comuni attività pratiche, nel<strong>la</strong> corrispondenza<br />

episto<strong>la</strong>re dei dotti, nei rapporti diplomatici, nel<strong>la</strong> storiografia<br />

l'uso del volgare tendeva a prevalere.<br />

Nel '500 fu sentita vivamente l'esigenza di una lingua che fosse,<br />

nel contempo, nazionale (una per tutti gli scrittori) e letteraria (da potersi<br />

usare in opere di temi elevati e di forme eleganti).<br />

Vi erano due fondamentali correnti che si fronteggiavano per risolvere<br />

il problema di quale lingua darsi a livello nazionale: una tendenzialmente<br />

democratica, l'altra chiaramente autoritaria.<br />

Corrente tendenzialmente democratica<br />

La lingua italiana. Il più importante e anche il più popo<strong>la</strong>re di tutti<br />

fu il vicentino Giangiorgio Trissino (1478-1550). Nelle sue due opere Dubbi<br />

<strong>grammatica</strong>li e Il Castel<strong>la</strong>no (1529) egli, in polemica col Bembo e col<br />

Machiavelli, sostiene che <strong>la</strong> lingua italiana dovrebbe essere detta «italiana»<br />

per genere, mentre come specie si dovrebbe chiamare lingua toscana, siciliana<br />

ecc. (al pari delle lingue straniere: francese/provenzale; spagnolo/castigliano).<br />

Il Trissino aveva posto per primo il principio del<strong>la</strong> italianità del<strong>la</strong><br />

lingua. Egli riconosceva il primato stilistico al<strong>la</strong> lingua toscana, ma negava<br />

che i vocaboli usati da Dante e da Petrarca fossero tutti fiorentini o toscani,<br />

essendo invece specifici di altre regioni o comuni a tutte le regioni. Per cui<br />

rifiutava l'idea di dover imporre il fiorentino a livello nazionale. Traducendo<br />

e divulgando il De vulgari eloquentia, egli cercò di convincere gli intellettuali<br />

del tempo che anche Dante, non avendo privilegiato alcun volgare<br />

partico<strong>la</strong>re, fosse favorevole a un'idioma «italiano». La lingua italiana doveva<br />

in sostanza essere il frutto delle parti migliori di tutti i volgari.<br />

La lingua cortigiana, cioè delle varie corti d'Italia. Il più importante<br />

fu il conte mantovano Baldassar Castiglione (1478-1529), che nell'opera<br />

Cortegiano (1528) e nel<strong>la</strong> Lettera dedicatoria a Don Michel de Silva<br />

(1527) si mostra contrario all'esclusivismo del toscanesimo linguistico, par<strong>la</strong>to<br />

e scritto, e rivendica i diritti del<strong>la</strong> lingua italiana comune, senza pregiudiziale<br />

esclusione di <strong>la</strong>tinismi o arcaismi <strong>la</strong>tineggianti (quando sanzionati<br />

dall'uso colto), lombardismi (ch'egli tendeva a preferire), forestierismi, neologismi…<br />

Ognuno ha il diritto di scrivere nel<strong>la</strong> propria lingua materna, diceva.<br />

Rego<strong>la</strong> d'oro per <strong>la</strong> scelta delle parole è il loro uso effettivo, a condizione<br />

che il par<strong>la</strong>to non sia sciatto. Di qui l'uso spregiudicato, eclettico, me-<br />

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