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la grammatica - Homolaicus

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una legittimazione all'esistenza letteraria solo se veniva sanzionato da quel<br />

ceto di intellettuali che quando scrive usa il <strong>la</strong>tino proprio per tenersi lontano<br />

dal popolo!<br />

Cioè da un <strong>la</strong>to egli aveva perfettamente capito l'importanza culturale<br />

degli idiomi popo<strong>la</strong>ri, dall'altro però ne ridimensionava <strong>la</strong> rilevanza sociale.<br />

Quegli idiomi, più che al popolo, tornavano utili alle esigenze letterarie<br />

degli intellettuali, che non potevano vivere divisi tra «contenuto presente»<br />

e «forma passata».<br />

Alcuni critici hanno giustificato <strong>la</strong> scelta del <strong>la</strong>tino dicendo che<br />

Dante, in realtà, era incerto su quale tipo di volgare chiedere agli intellettuali<br />

di usare per poter scrivere di alta poesia; egli cioè non si pose il problema<br />

dell'unificazione linguistica degli italiani.<br />

Ma questa interpretazione è riduttiva. Dante infatti non era solo un<br />

letterato, ma anche un politico e se, come politico, aspirava all'unificazione<br />

territoriale sotto l'egida imperiale (l'unica che secondo lui avrebbe potuto<br />

far superare gli antagonismi fra le Signorie), era davvero impossibile che<br />

non avvertisse, come letterato, il problema dell'unificazione linguistica (che<br />

il <strong>la</strong>tino da tempo non era più in grado di garantire, se non appunto a livello<br />

di ceti intellettuali molto ristretti).<br />

Semmai lo si deve criticare su un altro piano, quello di aver pensato<br />

a una «unificazione linguistica» come prodotto non di quel<strong>la</strong> «sociale»<br />

delle varie popo<strong>la</strong>zioni, che avrebbero dovuto politicamente liberarsi delle<br />

barriere artificiali che le dividevano, ma come prodotto di quel<strong>la</strong> del ceto<br />

intellettuale, che avrebbe deciso del tutto autonomamente a quale volgare<br />

dare <strong>la</strong> canonicità: operazione questa che, senza un contestuale rivolgimento<br />

politico che unificasse <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, sarebbe stata assolutamente irrealizzabile.<br />

E anche quando fu resa possibile al<strong>la</strong> fine dell'Ottocento, essa si concluse<br />

in maniera del tutto arbitraria, penalizzando le par<strong>la</strong>te di origine non<br />

fiorentina, trasformando così il neonato italiano in un figlio privilegiato del<br />

vecchio <strong>la</strong>tino.<br />

Un'altra cosa curiosa del trattato è che da un <strong>la</strong>to Dante vuol far<br />

l'apologia del volgare illustre (con cui sostituire il <strong>la</strong>tino), dall'altro invece<br />

sottopone a critica serrata tutti i volgari del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, senza salvarne alcuno<br />

in partico<strong>la</strong>re. Cioè invece di mostrare agli intellettuali i meriti, i pregi di<br />

questo e quel volgare, li squalifica en bloc, mettendo una seria ipoteca sull'utilità<br />

del trattato stesso. Persino il toscano (cioè <strong>la</strong> sua stessa lingua, quel<strong>la</strong><br />

che aveva usato per cantare le lodi di Beatrice) viene definita col termine<br />

di turpiloquium. Dunque perché atteggiamenti così contraddittori?<br />

Qui si ha l'impressione che Dante misurasse il valore di tutti i volgari<br />

italiani col metro del proprio volgare. Egli infatti riteneva sì il toscano<br />

un turpiloquium, ma da esso ovviamente escludeva <strong>la</strong> produzione letteraria<br />

degli stilnovisti e, in partico<strong>la</strong>re, <strong>la</strong> propria (anche se poi si ce<strong>la</strong> dietro <strong>la</strong><br />

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