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la grammatica - Homolaicus

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Il «cogito» in tal caso dovrebbe essere detto predicato nominale,<br />

poiché non c'è nessun altro soggetto che l'io, nessuna azione propriamente<br />

detta, esterna all'io; ci sono inoltre due stati d'animo o condizioni esistenziali<br />

strettamente connesse; l'avverbio «dunque» ha <strong>la</strong> piena funzione del<strong>la</strong><br />

«copu<strong>la</strong>», poiché è come se si fosse detto «Pensare è esistere», nel senso<br />

che <strong>la</strong> percezione di esistere o di esserci è data dal<strong>la</strong> facoltà individuale,<br />

soggettivistica, solipsistica di «pensare». Cosa si vuole di più per fruire di<br />

un predicato nominale?<br />

La <strong>grammatica</strong> a questo punto esce di testa, poiché se io dico che<br />

sto pensando di esistere, allora il verbo «pensare» è transitivo; se invece<br />

non penso a niente, diventa intransitivo, benché proprio in una condizione<br />

intransitiva del genere il filosofo francese riuscisse a dedurre niente di<br />

meno che <strong>la</strong> propria esistenza in vita!<br />

In entrambi i casi dovrebbe trattarsi di un predicato verbale, anche<br />

se Cartesio rifiuterebbe l'idea di un soggetto sottinteso, in quanto <strong>la</strong> definizione<br />

di soggetto è proprio una conseguenza logica del «pensare».<br />

È vero, qualcuno deve pur pensare, ma quest'io che pensa è un nul<strong>la</strong><br />

se non ha <strong>la</strong> consapevolezza di farlo; quindi l'io diventa se stesso solo<br />

quando prende coscienza che sta pensando autonomamente. Come se l'io<br />

vivesse in un'iso<strong>la</strong> deserta, assolutamente solo, senza alcun passato da ricordare,<br />

senza amici o parenti che pensino per lui quando lui non ha niente<br />

a cui pensare.<br />

Vediamo bene da questi ragionamenti come <strong>la</strong> <strong>grammatica</strong> italiana<br />

abbia le proprie origini nell'astratto razionalismo filosofico moderno. E le<br />

astrazioni, si sa, cadono sempre nel ridicolo, perché <strong>la</strong> legge è fatta per l'uomo<br />

e non il contrario. Se io dico «Ho una moglie, è mia», nel primo caso<br />

esprimo per <strong>la</strong> <strong>grammatica</strong> un predicato verbale, nel secondo invece un predicato<br />

nominale, ma nel<strong>la</strong> realtà lei è sempre lei, e per lei, purtroppo, io<br />

sono sempre io; quanto poi ad «aver<strong>la</strong>» è tutto opinabile: non mi ci provo<br />

neanche a chiederle se si sente un mio «complemento oggetto».<br />

*<br />

È <strong>la</strong> semantica che deve determinare <strong>la</strong> <strong>grammatica</strong>. In modo partico<strong>la</strong>re<br />

bisogna rinunciare all'idea che esistano verbi che abbiano un significato<br />

in sé compiuto, esaustivo. Anche perché è assurdo sostenere che il predicato<br />

verbale si basa essenzialmente su questa tipologia di verbi. Infatti, se<br />

così fosse, i grammatici dovrebbero tirare <strong>la</strong> conclusione che il verbo principale<br />

dell'esistenza umana, e cioè «essere», è privo di senso definito.<br />

Ma a questo punto, se davvero l'essere in sé non ha senso, sarebbe<br />

stato meglio dire che l'essere coincide col divenire, e siccome l'essere è il<br />

divenire, si è quel che si diventa, e tutti i verbi, nessuno escluso, sottostanno<br />

a questa rego<strong>la</strong>, per cui una qualunque distinzione tra i predicati, che<br />

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