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la grammatica - Homolaicus

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tuita combinazione di eventi) riescono a trarre il positivo anche dal negativo. Se<br />

vogliamo tutta <strong>la</strong> pedagogia (specie quel<strong>la</strong> adolescenziale) si basa su questo<br />

presupposto. E non è forse questo il segreto del<strong>la</strong> dialettica hegeliana?<br />

Non c'è nessun se ipotetico che nel<strong>la</strong> vita sociale implichi o escluda di<br />

per sé determinati risultati. Questo perché gli esseri umani sono fatti di libertà e<br />

non sempre sopportano di dover sottostare ai diktat o alle minacce dei se ipotetici.<br />

Tuttavia <strong>la</strong> cosa più grave nel ragionamento dei grammatici è un'altra<br />

ancora. Basterebbe solo il seguente esempio per convincersene. Quando davanti<br />

al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> «dio» mettiamo un bel «se», abbiamo qualche possibilità di rientrare<br />

nel periodo ipotetico del<strong>la</strong> realtà (o quanto meno del<strong>la</strong> possibilità, nel caso in<br />

cui si fosse agnostici), oppure inevitabilmente finiamo - come vorrebbe Lap<strong>la</strong>ce<br />

– nel<strong>la</strong> irrealtà?<br />

Qualunque ipotesi che chiamasse in causa aspetti che <strong>la</strong> cultura dominante<br />

non ritiene attendibili (perché non dimostrabili o non verificabili), dovrebbe<br />

essere esclusa a priori - come fece Kant con le prove sco<strong>la</strong>stiche dell'esistenza<br />

di dio - o avrebbe comunque diritto a una qualche legittimità?<br />

Se si tratta soltanto di definire i limiti epistemologici entro cui una<br />

data ipotesi può avere un senso, è evidente che quel che è ammissibile, come<br />

condizione, per una persona, può esserlo anche per un'altra soltanto se questa<br />

accetta, in via preliminare, quegli stessi limiti di riferimento. Il che però, al<strong>la</strong><br />

lunga, porta i ragionamenti a una povertà incredibile. Anzi nell'immediato porta<br />

<strong>la</strong> poesia al patibolo.<br />

Al di fuori di questo, spesso è letteralmente impossibile che vi sia accordo<br />

anche solo su delle minime condizioni preliminari. Cattolici, protestanti e<br />

ortodossi non credono forse nello stesso dio uno e trino? Eppure le differenze<br />

tra loro sono abissali: non c'è argomento su cui non abbiano interpretazioni opposte,<br />

e lo dimostra il fatto che da mille anni non c'è mai stato alcun accordo<br />

duraturo o significativo tra cattolici e ortodossi e da mezzo millennio mai uno<br />

risolutivo tra cattolici e protestanti.<br />

Più in generale si potrebbe dire che, per chi ha una visione religiosa o<br />

magica dell'esistenza, il concetto di «irrealtà» quasi non esiste, essendo costantemente<br />

trasfigurato sul piano mistico. Infatti il credente pensa sempre di poter<br />

superare qualunque limite grazie a un intervento miracoloso del<strong>la</strong> divina provvidenza,<br />

ovvero secondo <strong>la</strong> formu<strong>la</strong> credo quia absurdum, attribuita a Tertulliano.<br />

Ma anche dal punto di vista <strong>la</strong>ico-scientifico sta diventando sempre<br />

più difficile accettare i limiti del<strong>la</strong> «irrealtà». Non solo perché ci illudiamo di<br />

poter fare con <strong>la</strong> scienza e <strong>la</strong> tecnica qualunque tipo di «miracolo», sostituendoci<br />

al<strong>la</strong> religione, ma anche perché, effettivamente, stiamo diventando sempre<br />

più consapevoli dell'infinità del<strong>la</strong> natura dell'universo e quindi del<strong>la</strong> possibilità<br />

che <strong>la</strong> morte dell'uomo sia soltanto un momento di passaggio da una dimensione<br />

a un'altra, prescindendo totalmente dalle specu<strong>la</strong>zioni religiose che fino ad<br />

oggi sono state fatte sull'argomento.<br />

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