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99<br />

questioni di metodo<br />

luce come quello di Bona Dea si possa considerare un mito che sottolinea il passaggio<br />

da una ‘femminilità’ incontrollata, nella quale ha un ruolo fondamentale il consumo del<br />

vino, a una positiva, incanalata nel matrimonio 518 . Bona Dea, quindi, non si configura<br />

come divinità dalle prerogative salutari.<br />

Per quanto riguarda poi Bona Dea, punto nodale nell’ipotesi ricostruttiva di Maggiani,<br />

è evidente come non sia facilmente percepibile né la sua relazione con il mito,<br />

né con le competenze divine: nell’unico caso di identificazione certa, perché suffragata<br />

dall’iscrizione, Bona Dea è, infatti, raffigurata seduta e ammantata, con la mano sinistra<br />

che sorregge una cornucopia e la destra che stringe una patera alla quale attinge un serpente<br />

519 . Anche la statuetta tergestina, portata ad esempio da Maggiani a sostegno della<br />

sua ipotesi, pur mostrando una certa affinità di schema con l’esemplare di Este, è stata<br />

variamente interpretata nella storia degli studi come Bona Dea 520 , Hygieia 521 e Salus 522 , e,<br />

di recente, come Iside Panthea 523 .<br />

Un certo grado di sovrapposizione iconografica tra Bona Dea e Vesta non può, inoltre,<br />

essere un elemento sufficiente per giustificare un’associazione tra la divinità venetica<br />

Sainate e una presunta «Vesta/Bona Dea», come proposto da Maggiani 524 .<br />

518 Fontana 2001, p. 115.<br />

519 LIMC III, s.v. Bona Dea, p. 122, n. 6 (M. C. Parra, S. Settis). Diversi esemplari sono stati ricondotti<br />

a questo tipo iconografico, benché manchi una iscrizione identificativa: si citano, a titolo esemplificativo,<br />

una statuetta marmorea da Urbisaglia, presso Macerata, del periodo traianeo, una conservata ai Musei<br />

Vaticani, di ignota provenienza, di età adrianea, una da Ostia, datata alla prima metà del II secolo d.C.,<br />

LIMC III, s.v. Bona Dea, p. 122, nn. 4, 5, 13 (M. C. Parra, S. Settis). Si tratta, in realtà, di uno schema<br />

iconografico estremamente generico e simile a quello di altre divinità femminili. Sull’iconografia di Bona<br />

Dea cfr. LIMC III, s.v. Bona Dea, pp. 120-123 (M. C. Parra, S. Settis); Picard 1986, pp. 111-117. Uno<br />

studio, abbastanza recente, documenta la diffusione a Pompei di un altro schema iconografico per Bona<br />

Dea, che la vede distesa su una kline, con trapeza antistante, mentre nutre un serpente. L’immagine dovrebbe<br />

riprodurre un episodio della vicenda mitica o un momento delle cerimonie celebrate in onore della divinità.<br />

Il tipo della Bona Dea a banchetto è testimoniato esclusivamente a Pompei, cfr. Stefani 2000, pp. 419-443.<br />

520 Sticotti 1939, cc. 33-34, fig. 2; EAA II, s.v. Bona Dea, pp. 135-136 (D. Facenna); Arte e civiltà<br />

1964-1965, p. 293, n. 408, tav. LXXXIII, 173 (dove però si segnala la presenza del simbolo isiaco costituito<br />

da un fiore di loto e da un crescente lunare notato a coronamento della cornucopia); LIMC III, s.v. Bona<br />

Dea, p. 122, n. 15 (M. C. Parra, S. Settis).<br />

521 Arte e civiltà 1964-1965, p. 293, n. 408, tav. LXXXIII, 173.<br />

522 Càssola Guida 1978, pp. 90-91, Bravar 2002, p. 488, fig. 10. Tale proposta sarebbe sostenuta<br />

unicamente dalla somiglianza con una figura femminile, che ritrarrebbe la divinità insieme a Vesta, Mercurio<br />

e al Genius Caesaris su un rilievo di un altare marmoreo conservato al Museo Nazionale di Napoli,<br />

Scott–Ryberg 1955, pp. 62-63, tav. XVII 33c. La liceità di questa identificazione è, tuttavia, dubbia<br />

poiché le caratteristiche iconografiche di questa figura si adattano a molte divinità e personificazioni e per il<br />

fatto che non vi sia alcuna iscrizione di accompagnamento.<br />

523 <strong>Murgia</strong> 2010, pp. 191-197.<br />

524 Propone il confronto con un esemplare di età imperiale, recante l’iscrizione dedicatoria, cfr. LIMC<br />

V, s.v. Vesta, n. 30 (T. Fischer Hansen).

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