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289<br />

aquileia e il suo territorio<br />

Diversamente dalle testimonianze archeologiche, la presenza delle quali permette di<br />

avanzare considerazioni di carattere genericamente culturale riguardanti, per esempio,<br />

la diffusione delle iconografie di maggiore successo di Minerva 1635 , le iscrizioni forniscono,<br />

almeno per l’età repubblicana, dati sufficienti sia per proporre l’individuazione<br />

di un luogo di culto, sia per poter delineare caratteri e valore del culto prestato alla dea,<br />

soprattutto nei suoi possibili legami con l’ambito epicorico.<br />

È piuttosto diffusa l’opinione che la dea costituisca l’interpretatio romana di una<br />

divinità celtica preesistente 1636 . Questa convinzione è in parte dovuta alla notizia polibiana<br />

secondo la quale gli Insubri avrebbero avuto un tempio dedicato ad Athena, in cui<br />

erano conservate insegne belliche d’oro, e a quella di Cesare che attesta l’esistenza nel<br />

pantheon gallico di una divinità femminile che presiedeva ai mestieri e all’artigianato, da<br />

lui avvicinata a Minerva 1637 .<br />

È chiaro che le proposte di identificazione derivano dalla necessità degli autori<br />

antichi di definire una divinità femminile ‘altra’ simile, per funzioni e competenze, ad<br />

una italica 1638 . Ma anche se non si volesse accettare questa prospettiva di interpretazione<br />

delle fonti letterarie, numerosi interrogativi rimarrebbero aperti.<br />

Accertare la matrice celtica di divinità non-romane è di per sé estremamente difficoltoso<br />

1639 , tanto più arduo quindi sarà riconoscere un’origine non romana, nella fattispecie<br />

celtica, per quelle romane. A complicare il problema dei rapporti tra il culto di<br />

Minerva e la religiosità indigena è il fatto che che in ambito venetico la dea è considerata<br />

l’equivalente di Reitia e che in Histria essa si sarebbe, invece, sovrapposta ad una<br />

ignota divinità illirica.<br />

Ma se Aquileia fu dedotta in un’area ‘etnicamente mista’, al confine con gli Istri e frequentata<br />

da Veneti e tribù galliche, la cui precisa identificazione ancora sfugge (Karni o<br />

Transalpini), appare legittimo chiedersi se Minerva costituisse la romanizzazione di una<br />

divinità Venetorum, Gallorum Carnorum o, infine, Gallorum Transalpinorum. Nell’eventualità,<br />

quindi, che Minerva avesse assolto le funzioni di una divinità epicorica preesistente,<br />

resterebbe tuttavia da individuare la cultura religiosa di riferimento.<br />

Valutare l’accezione del culto di Minerva ad Aquileia, nei possibili rapporti con forme<br />

di religiosità locale, risulta di più facile approccio rispetto ad altri contesti. In area nord-<br />

1635 Si veda, per esempio, per i bronzetti Bolla 2002, pp. 139-140, n. 9, p. 76, nt. 25 (con dubbi<br />

sull’autenticità), Bolla 2009b, p. 76, n. 6, fig. 18. Tra le attestazioni scultoree ricordo il clipeo con busto<br />

di Minerva, facente parte del ciclo dei ‘dodici dei’ che decorava, secondo una recente proposta, il palazzo<br />

costantiniano di Aquileia, su cui Mian 2004, p. 480, fig. 29, Mian, Rigato 2005, p. 662, fig. 1.<br />

1636 Si vedano, per esempio, Bassignano 1987, pp. 330-331, Mastrocinque 1991, pp. 221-225,<br />

Chirassi Colombo 1976, pp. 204-205, Cenerini 1992, p. 105.<br />

1637 Caes. Gall. 6.17.2.<br />

1638 Si veda, in proposito, Fontana 1997a, p. 115, nt. 522.<br />

1639 Cfr. zaccaria 2001-2002, pp. 130-139.

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