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169<br />

verona e il suo territorio<br />

elementi. Prima di tutto nella ricostruzione del contesto non è noto se i votivi siano<br />

pertinenti ad deposito ‘aperto’ o ‘chiuso’, né se l’offerta sia avvenuta simultaneamente o<br />

con gradualità. Non è quindi possibile intuire una evoluzione del culto, da una sola divinità<br />

(forse Fortuna 929 ) ad un pantheon multiforme, così come proposto da Buonopane.<br />

Analogamente non mi sembra dirimente la vicinanza di una villa ai piedi della Rocca per<br />

valutare la natura pubblica o privata del deposito votivo.<br />

Un ulteriore problema è costituito dall’eventuale persistenza di religiosità ‘indigena’.<br />

I votivi, infatti, derivano da una tradizione centro-italica, così come il testo dell’iscrizione<br />

votiva a Fortuna e Victoria è aderente ai canoni tradizionali delle dediche latine<br />

in cui il formulario è composto dal nome del dio al dativo, l’onomastica del dedicate in<br />

nominativo seguita da un verbo, o da una formula, indicante lo scioglimento del voto.<br />

Alla luce di queste osservazioni mi sembra che si debba dedurre dai dati disponibili<br />

che si tratti di un culto latino e che gli elementi per ricostruire un contesto cultuale stratificato<br />

e a «venerazione polivalente» siano al momento non sufficienti 930 .<br />

929 Buonopane 1988, p. 396.<br />

930 Viene quindi meno la possibilità che anche la stipe di San Giorgio di Valpolicella possa essere considerata<br />

una sorta di area sacra «gemella» a «natura polivalente», come proposto da Mastrocinque 2003,<br />

pp. 27-28.

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