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Anche senza voler ricordare che per gli antichi il termine interpretatio era inteso nel<br />

significato di ‘traduzione’ 1801 e che, quindi, legittimamente interpretare significava spiegare<br />

caratteristiche e competenze di divinità non-romane, a dirimere ogni dubbio sulla<br />

questione è la documentazione epigrafica. L’analisi delle dediche patavine a Fortuna, per<br />

esempio, ha dimostrato che la tipologia delle offerte e i formulari votivi sono coerenti<br />

con quelli di tradizione italica; la presenza di onomastica indigena, spesso considerata<br />

indicativa di una persistenza di cultualità di sostrato 1802 , sembra allinearsi con quella<br />

riscontrata anche in altri tituli sacri compresi quelli alla triade capitolina.<br />

La persistenza di teonimi non-romani, come Reitia, Leituria, Temavus, è stata spesso<br />

valutata come spia di ‘resistenza’ da parte degli indigeni alla nuova religio o, al contrario,<br />

di ‘tolleranza’ dei Romani. I dati emersi da questa ricerca hanno consentito di integrare<br />

questo quadro rendendolo, per quanto possibile, meno schematico.<br />

Diversi gli esempi in tal senso.<br />

A Brixia il dio locale Bergimus, associato al Genius Coloniae Civicae Augustae, sembra<br />

assumere una dimensione poliadica assurgendo a punto di riferimento per la componente<br />

cenomane del centro ormai romanizzato.<br />

Ancor più significativo è il caso dell’area sacra di Lagole di Calalzo, dove convivono<br />

dediche a Trumusiati/Tribusiati e ad Apollo. È il caso di una basetta di statuetta in<br />

bronzo recante un’iscrizione, realizzata con la tecnica della puntinatura, disposta su due<br />

righe datata alla prima metà del I secolo d.C.: L(ucius) Apinius L(uci) f(ilius) // Tru[usi]tei<br />

v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) 1803 . Ma nello stesso contesto ricorre un titulus analogo,<br />

per tipo di supporto, formulario di dedica, modalità di realizzazione del testo: Ti(berius)<br />

Barbi(us) Tertius // Apolini v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) 1804 . Questa compresenza è stata<br />

spiegata come fenomeno di assimilazione della divinità venetica a quella ‘importata’,<br />

ma credo che non sia da escludere una situazione analoga a quella del santuario presso<br />

la stazione ad Martis, sulla via che collegava Augusta Taurinorum al Monginevro. Il fatto<br />

che il sito abbia restituito graffiti votivi ad una divinità «certamente celtica come Albiorix<br />

e a una altrettanto palesemente romana come Apollo» è stato spiegato «in ragione<br />

delle funzionalità divine attribuite al luogo, manifestandosi progressivamente in forme<br />

diverse a seconda dell’origo e del background etno-culturale dei soggetti praticanti» 1805 .<br />

Il santuario ‘comunitario’ di Lagole diviene quasi luogo ideale di romanizzazione dei<br />

Veneti e, al contempo, di ‘venetizzazione’ dei Romani.<br />

1801 Magdelain 1990, pp. 100-101.<br />

1802 Si veda, per esempio, zaccaria 2001-2002, p. 139: «in alcuni casi per la determinazione di una<br />

matrice celtica delle divinità interpretate soccorre l’onomastica dei dedicanti».<br />

1803 Marinetti 2001c, p. 346, n. 132, Mainardis 2008, pp. 242-243, n. 157.<br />

1804 Marinetti 2001c, p. 339, n. 52, Mainardis 2008, pp. 235-236, n. 146.<br />

1805 Giorcelli Bersani 1999, pp. 102-104.<br />

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