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«è sempre chiaramente percettibile una stretta relazione tra aree sacre e confini in senso<br />

lato, il che porta a prospettare per tutti i luoghi di culto una generalizzata funzione di<br />

‘frontiera’, nella più ampia e varia accezione del termine: santuari come ‘confine della<br />

terra’, in un rapporto tra uomo e ambiente, tra spazio civilizzato/coltivato e spazio selvaggio/incolto;<br />

santuari come ‘frontiera del territorio’, in un rapporto politico tra società<br />

diverse, tra spazio controllato da una città e spazio controllato da un’altra; santuari di<br />

‘frontiera aperta’, tra ambiti geograficamente ed etnicamente diversi» 229 .<br />

Per quanto riguarda, quindi, la prima tipologia proposta, un esempio significativo<br />

potrebbe essere costituito dai santuari atestini, la cui fondazione è stata inquadrata tra la<br />

seconda metà del VI secolo a.C. e la prima metà del V secolo a.C. e la cui frequentazione<br />

continuò, almeno per alcuni, fino alla piena età imperiale 230 . Questi luoghi di culto<br />

Guzzo 1987, pp. 373-379, de Polignac 1991, de Polignac 1999, pp. 209-229, Confini e frontiera 1999.<br />

Si veda anche Vallet 1968, pp. 67-142 che considera santuari ‘urbani’ quelli compresi nel nucleo cittadino<br />

entro la cinta muraria, ‘suburbani’ quelli posti nelle immediate vicinanze, nel raggio di circa 1 km, ‘extraurbani’,<br />

infine, quelli situati ad una distanza compresa tra i 7 e i 10 km, fino ad un massimo di 40 km. Questi<br />

ultimi, poi, andrebbero distinti tra ‘piccoli santuari’, destinati ai culti rurali e ‘grandi santuari’, autonomi rispetto<br />

alla città. Tale suddivisione è accolta da Greco 2009, p. 13. La classificazione dei santuari in ‘urbani’,<br />

‘suburbani’, ‘extraurbani’ appare secondo altri studiosi superata non solo da riflessioni storiche, ma anche<br />

dalla considerazione che le definizioni si basano su una misura di distanza dall’area di culto al centro urbano<br />

e, più precisamente, dalla cinta muraria che non sempre, però, è presente, cfr. Ghinatti 1976, pp. 601-<br />

630 e Prestianni Giallombardo 2003, pp. 1062-1063. Si vedano, inoltre, le riflessioni metodologiche in<br />

Dondin-Payre, Raepsaet-Charlier 2006, pp. VII-VIII.<br />

229 Entro la prima categoria rientrerebbe, secondo la critica, il deposito di Altichiero. I santuari di<br />

Magrè e Trissino, Villa di Villa e Monte Altare si configurano come frontiera tra Veneti e Reti o tra Veneti<br />

e Celti, Ruta Serafini 2002a, pp. 257-258. Il santuario è stato definito ‘cantonale’ da Ruta Serafini<br />

2002b, pp. 259-260. Anche il comprensorio tra Piave e Livenza si connoterebbe come ‘frontiera etnica’:<br />

tra III-II e I secolo a.C. fu probabile luogo di incontro tra gentes diverse che, in occasione di festività religiose,<br />

avrebbero intrapreso transazioni economiche, si veda Càssola Guida 2007, p. 215. Si può, inoltre,<br />

ricordare il caso dell’Alto Cenedese, territorio ‘a ritualità diffusa’ che, nella seconda età del Ferro, rivestì<br />

funzione di cerniera tra la valle della Gail e gli insediamenti della pianura veneto-friulana, cfr. Gambacurta,<br />

Gorini 2005, p. 165.<br />

230 Caldevigo, cfr. Mastrocinque 1992, pp. 33-34, Capuis 1993, pp. 247-249, Gambacurta, zaghetto<br />

2002, pp. 283-295, Chieco Bianchi 2002c, p. 263, Maggiani 2002, pp. 80-81. Sul santuario<br />

orientale di Meggiaro e i suoi reperti, cfr. Balista, Sainati, Salerno 2002, pp. 127-141, Fiore, Tagliacozzo<br />

2002, pp. 185-197, Gregnanin 2002a, pp. 164-179, Maggiani 2002, p. 81, Marinetti 2002a, pp.<br />

180-184, Motella De Carlo 2002, pp. 198-203, Ruta Serafini, Sainati 2002, pp. 216-223, Salerno<br />

2002, pp. 149-163, zaghetto 2002b, pp. 142-148, Este: il santuario orientale 2005, pp. 445-472. Sul santuario<br />

di Reitia Baratella, cfr. Dämmer 1990, pp. 209-217, Mastrocinque 1992, pp. 19-30, Capuis 1993,<br />

pp. 239-246, Chieco Bianchi 1999, pp. 377-389, Chieco Bianchi 2002a, Chieco Bianchi 2002b, pp.<br />

251-252, Capuis, Chieco Bianchi 2002, pp. 233-247, Dämmer 2002a, pp. 248-259, Maggiani 2002,<br />

pp. 78-79, Meller 2002, Riemer 2005, Meffert 2009. Su Scolo di Lozzo/Casale, cfr. Pascucci 1990,<br />

p. 245, Mastrocinque 1992, pp. 30-33, Capuis 1993, pp. 246-247, Baggio Bernardoni 2002, pp.<br />

276-280, Locatelli, Marinetti 2002, pp. 281-282, Maggiani 2002, pp. 79-80. A questi si aggiunge il<br />

nucleo di votivi rinvenuto in località Morlungo dove si suppone la presenza di un lucus consacrato a divinità<br />

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