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Le osservazioni proposte rendono evidente, parafrasando Silvia Giorcelli Bersani,<br />

come non sia in alcun modo possibile analizzare con i medesimi criteri e all’interno degli<br />

stessi parametri storici fenomeni cultuali eterogenei sul piano documentario e funzionale<br />

427 . Il rischio, come emerge dagli esempi proposti, è quello di valutare in modo indifferenziato<br />

i culti ‘non romani’ e di ricondurli al generico concetto di ‘religiosità locale’,<br />

sintomatica di una, più o meno, evidente resistenza alla romanizzazione 428<br />

La presenza o l’assenza di culti non romani è, dunque, giudicata come manifestazione<br />

di assimilazione, opposizione e, talora, di mediazione 429 .<br />

C’è chi, come Cesare Letta, ha colto nei contesti romanizzati una totale e spontanea<br />

adesione, in un lasso di tempo assai breve, al modello religioso importato. Ciò non fu<br />

dovuto ad un’imposizione ma fu il frutto di una collaborazione delle élites locali, che<br />

ambivano ad una possibile integrazione entro la nuova classe dirigente 430 .<br />

Ad una posizione più sfumata giunge, invece, Giuseppe zecchini che, in diversi<br />

contributi, distingue tra la realtà del I secolo a.C. e I secolo d.C., in cui i ‘vinti’ passano<br />

gradualmente dalle ultime resistenze all’assimilazione, e la tarda età imperiale,<br />

in cui vi fu un recupero della memoria storica locale in chiave non esclusivamente<br />

autonomistica 431 .<br />

Una mediazione è quella che propone anche Gino Bandelli, secondo il quale, per esempio,<br />

la presenza di Timavus-Temavus e Belenus-Belinus ad Aquileia e, analogamente, di divinità<br />

locali nella Venetia e nell’Histria non può in alcun modo interpretarsi come un fenomeno<br />

di resistenza del sostrato, poiché costituiva prassi politico-religiosa dei Romani la tolleranza<br />

dei culti indigeni, se giudicati non pericolosi 432 . Riflessioni simili, ma dalla prospettiva dei<br />

‘romanizzati’, sono proposte da John Scheid: le trasformazioni religiose furono operate, senza<br />

traumi, entro il quadro delle riforme istituzionali romane poiché «les élites locales n’y ont pas<br />

considéré la confrontation des deux systèmes religieux comme un problème important» 433 .<br />

A fronte di ogni interpretazione politica circa la presenza di culti locali in contesti<br />

istituzionalmente romanizzati è necessario, tuttavia, capire se, come e quando tali culti<br />

siano stati ufficialmente introdotti nel pantheon di coloniae e municipia, al fine di esclu-<br />

427 A volte documenti isolati sono serviti per costruire sistemi e delineare quadri complessi relativi alla<br />

sopravvivenza o alla resistenza della cultura locale in età romana; in altri casi, si sono giustapposte fonti non<br />

omogenee, Giorcelli Bersani 1999, pp. 87-88.<br />

428 Giorcelli Bersani 1999, p. 89. Invita alla prudenza anche Sartori 2008, p. 181.<br />

429 Su questo aspetto, cfr. Assimilation et résistance 1976, Romanisation und Resistenz 2003, Romanisation<br />

et épigraphie 2008, Unità politica 2008 e i numerosi riferimenti bibliografici in Bandelli 2009b, pp. 29-69.<br />

430 Letta 1984, pp. 1001-1024.<br />

431 zecchini 1984, zecchini 2002, zecchini 2007, pp. 39-54.<br />

432 Bandelli 2009a, pp. 111-113, Bandelli 2009b, pp. 44-45. Similmente anche zaccaria 2009a,<br />

pp. 83-89.<br />

433 Scheid 1999a, pp. 382-383.<br />

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