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33<br />

questioni di metodo<br />

Proprio in virtù del fatto che la peculiarità di ciascun ‘santuario’ è data, contestualmente,<br />

dal quadro storico e topografico e dallo status giuridico, questi costituiranno i<br />

parametri discriminanti per la ricostruzione di una «geografia cultuale» 140 il più attendibile<br />

possibile.<br />

1.1 Luoghi di culto e quadro storico<br />

Solo il confronto dialettico tra le coordinate spazio-tempo-natura giuridica può permettere<br />

di cogliere, con un buon grado di attendibilità, la natura di un luogo di culto.<br />

Interessanti spunti di riflessione, tuttavia, possono emergere anche dall’analisi del quadro<br />

storico tout court.<br />

Il periodo compreso tra il II secolo a.C. e l’età augustea, per esempio, è indicato<br />

dagli studiosi come momento cruciale per la storia dei luoghi di culto dell’Italia nordorientale:<br />

è proprio in questo arco cronologico, infatti, che si registra una generalizzata<br />

monumentalizzazione delle aree sacre, spesso ispirata a specifici modelli centro-italici 141 .<br />

Tempi, modi e forme di tale fenomeno, però, variano a seconda delle specifiche realtà di<br />

riferimento. La monumentalizzazione, infatti, non corrispose sempre ad una romanizzazione<br />

dei culti e viceversa.<br />

Una prima osservazione è necessaria in merito: per il Veneto preromano, pochissimo<br />

ancora è noto circa l’organizzazione degli spazi sacri e la presenza di strutture in<br />

materiale durevole 142 . Una probabile monumentalizzazione prima della romanizzazione<br />

140 L’espressione è di Scheid 2000a, p. 65. Cfr. anche Scheid 2000a, p. 64, che cita il caso di Poseidonia-Paestum:<br />

ogni mutazione dello status politico comportò trasformazioni nell’assetto dei culti e nella<br />

mappa stessa della loro distribuzione.<br />

141 Il fenomeno è stato più volte messo in evidenza, cfr., per esempio, Strazzulla 1987a, Capuis<br />

1999a, p. 156, Bonomi, Malacrino 2009, p. 236, De Min 2005, p. 113, De Min 2009, p. 190.<br />

142 È opinione dai più condivisa che nei santuari preromani del Veneto le strutture non sempre fossero<br />

presenti, anche se lo spazio sacro risultava ben distinto da quello non sacro, come a Padova, Vicenza e forse<br />

Oderzo dove sono stati ritrovati cippi confinari con dedica pubblica, Fogolari 2001a, p. 371, Malnati<br />

2002b, pp. 128-130, Capuis 2005, p. 509, Gamba, Gambacurta, Ruta Serafini 2008, pp. 49-68. Sulle iscrizioni<br />

attinenti i confini, cfr. Marinetti 2008a, pp. 168-169. Secondo Capuis 1991, pp. 1201, 1204-1205,<br />

l’assenza di templi edificati sarebbe coerente con l’assenza di città ‘pietrificate’ o ‘inaugurate’. Come già notato,<br />

in anni recenti, anche grazie al notevole apporto delle scoperte archeologiche, si è chiarito come i centri veneti<br />

conobbero uno sviluppo ‘urbano’ già tra VI e V secolo a.C. Maurizia De Min ha sottolineato come, malgrado<br />

tale trasformazione edilizia, effettuata anche con materiali costruttivi duraturi, i santuari veneti non raggiunsero<br />

mai esiti architettonici rilevanti. Ciò sarebbe imputabile, secondo la studiosa, o al permanere di forme<br />

di religiosità legate al mondo naturale, in cui gli elementi paesaggistici costituivano i limiti dell’area sacra, o<br />

all’atteggiamento di ‘conservazione’ identitaria proprio dei Veneti e ad una sorta di riluttanza a farsi influenzare<br />

dalla vicina area etrusco-padana, De Min 2005, pp. 113, 120-121, De Min 2009, pp. 196-197. Sull’influenza<br />

etrusca in Veneto anche nell’ambito del sacro, cfr. Maggiani 2001, pp. 121-135, Ghelli 2004, pp. 119-136.

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