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zabili 52 nei diversi comprensori territoriali distinguibili nell’Italia settentrionale, eterogenei,<br />

come si è visto, per tradizioni storiche, ‘istituzionali’ 53 , culturali. ‘Romanizzazione’,<br />

52 In area venetica è noto che una efficace romanizzazione si produsse già con l’alleanza del 225 a.C.<br />

tra Veneti, Cenomani e Romani. La proposta di un’alleanza tra Romani e Veneti già in atto intorno al 390<br />

a.C. oggi è sostenuta da pochi. L’ipotesi si basa sull’interpretazione di un passo di Polibio (Plb. 2.18.3),<br />

secondo il quale i Galli di Brenno avrebbero abbandonato Roma per tornare a difendere le sedi padane attaccate<br />

dai Veneti, sul tema cfr. Bandelli 1985a, p. 18, nt. 33. Rapporti (forse veri e propri foedera) furono<br />

invece stabiliti con certezza nella seconda metà del III secolo a.C., intorno agli anni 238-236 a.C., quando<br />

l’esercito romano si trovò ad operare nei territori confinanti con quelli dei Cenomani e dei Veneti. A ciò<br />

conseguì la symmachia documentata per la guerra gallica del 225-222 a.C. e, probabilmente, attiva anche<br />

in occasione della resistenza annibalica. Da questo momento le relazioni tra Roma, Veneti e Cenomani si<br />

mantennero, almeno formalmente, buone, (cfr. Capuis 1998, p. 104 «pur in quel [apparente?] rapporto di<br />

amicitia»), con l’eccezione di due brevi crisi dei Cenomani (Plb. 2.23.2-3, Str. 5.1.9). La prima defezione si<br />

collocherebbe nel 200 a.C., quando i Cenomani si schierarono a favore della coalizione che contrastò per un<br />

decennio ai Romani la riconquista della pianura padana. Dovettero passare solo tre anni perché i Cenomani<br />

stipulassero un secondo foedus, in virtù del quale, nel 187 a.C., fu inviata un’ambasceria al senato romano<br />

per denunciare un’azione del pretore M. Furius Crassipes, reo di avere confiscato loro le armi. La vertenza<br />

si sarebbe conclusa in favore dei Cenomani, a testimonianza dell’interesse di Roma a mantenere efficace il<br />

foedus, cfr. Liv. 31.10.2-3 e Liv. 32.30, Oros. 4.20.4, Luraschi 1979, pp. 6-14, 24, 99 e Bandelli 1985a,<br />

pp. 18-19, con bibliografia precedente e commento alle fonti storiche. Il foedus è annoverato da Cicerone<br />

(Balb. 14.32) tra quelli ancora attivi del 56 a.C.: Etenim quaedam foedera exstant, ut Cenomanorum, Insubrium,<br />

Helvetiorum, Iapydum, non nullorum item ex Gallia barbarorum, quorum in foederibus exceptum est ne<br />

qui eorum a nobis civis recipiantur, Bandelli 1986, pp. 48-49, zaccaria 1992b, pp. 76-77, Vedaldi Iasbez<br />

2000, p. 335. Sul significato della clausola ne qui eorum a nobis civis recipiantur si continua a discutere, cfr.<br />

le osservazioni di Luraschi 1979, pp. 41-56, 96-98, ripreso in Luraschi 1986, pp. 43-65, in particolare<br />

pp. 44-46, Gabba 1983, pp. 41-45, in particolare pp. 43-44, Bandelli 1985a, p. 21, Gabba 1986b, pp.<br />

23-25, Culasso Gastaldi, Cresci Marrone 1997, pp. 121-122. Meno chiaro, invece, è l’evolversi dei<br />

rapporti con i Carni e con gli Istri. Non è chiaro, per esempio, se i vincoli imposti agli Istri dopo la resa del<br />

221 a.C. fossero sanciti o meno da regolari trattati, né, tanto meno, è stato possibile precisare se le buone<br />

relazioni instauratesi tra Romani e indigeni durante la spedizione alpina del 220 a.C. assunsero una forma<br />

istituzionale. Sulla spedizione del 220 a.C., narrata da zonara (8.20.10), cfr. Bandelli 1981a, pp. 3-28,<br />

Bandelli 1985a, p. 19, zaccaria 1992b, pp. 75-76, Vedaldi Iasbez 1994, pp. 32-34, 316-319. In linea<br />

generale, è opinione diffusa che nel corso del II secolo a.C. Roma abbia intrattenuto con le popolazioni dei<br />

versanti prealpino e alpino orientali relazioni amichevoli pari a quelle instaurate con Cenomani e Veneti.<br />

Sulla stipula di foedera, cfr. Bandelli 1985a, pp. 19-20, con l’indicazione del 171 a.C. come terminus ante<br />

quem per i foedera con i Carni, gli Istri e i Giapidi (cita, a proposito, l’episodio del console C. Cassius Longinus,<br />

noto da Liv. 43, 1.4-12 e 43.5.1-8) la spedizione del 129 a.C. come terminus post quem del foedus<br />

con i Giapidi. Sulla vicende storiche e amministrative del comprensorio tra Natisone e Isonzo, cfr. da ultimi<br />

Chiabà 2007a, pp. 53-58 e zaccaria 2007, pp. 129-144. Si vedano anche zaccaria 1979, pp. 192-194,<br />

zaccaria 1986, pp. 70-72, zaccaria 1994a, pp. 316-317. Rimane incerto se le popolazioni autoctone<br />

rientrassero nel territorio aquileiese o se vi facessero riferimento in qualche forma istituzionale non ricostruibile<br />

(non è certa la forma dell’adtributio).<br />

53 Gli esponenti delle élites delle comunità indigene dell’Italia settentrionale sono variamente indicati,<br />

dalle fonti greche e latine, con termini che indicano diverse realtà politiche e istituzionali: rex, regulus, princeps,<br />

dux, basileus, basiliskos, dunastes, egemon. Secondo Peyre 1979, p. 55, i vocaboli «ne definissent pas le<br />

contenu des pouvoirs dont disposaient ces chefs gaulois et le termes qui en qualifient l’exercice ne sont pas<br />

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