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51<br />

questioni di metodo<br />

la cronologia/continuità dei ‘luoghi di culto’ 238 o delle offerte come indicatori culturali<br />

e dei rapporti tra popoli e civiltà diverse nella penisola 239 . La relativa disomogeneità dei<br />

dati disponibili, però, comporta la necessità di una rigorosa coerenza nella valutazione<br />

del materiale archeologico e dei singoli contesti, che non dovrebbero essere sovrainterpretati<br />

o, al contrario, sottovalutati nel loro valore di testimonianza per forzare il quadro<br />

di sintesi generale. Scolo di Lozzo/Casale, Morlungo condividono, per esempio, con il<br />

contesto di San Daniele a Padova la posizione topografica, la composizione dei votivi,<br />

le modalità di rinvenimento degli stessi 240 . Ciò nonostante, il deposito patavino sareb-<br />

rigenerative, Maggiani 2002, p. 81; di un lucus consacrato a divinità infere protettrici della semina, Ruta<br />

Serafini, Sainati 2005, p. 466. Sottolineano il rapporto con l’area funeraria, Gamba, Gambacurta, Ruta<br />

Serafini 2008, p. 57. Mastrocinque 1987, p. 135, osserva però che «i falli della stipe atestina sono di tipo<br />

infantile e potrebbero essere spiegati diversamente». Per Scolo di Lozzo/Casale, l’ipotesi più accreditata è<br />

quella di un culto ad una coppia divina gemellare (Alkomno/Dioscuri) connessa, variamente, «all’ambiente<br />

acquatico, sia marino che fluviale» e a quello iatrico e terapeutico, Maggiani 2002, p. 80.<br />

238 Uno dei problemi ampiamente discussi è quello della presenza o meno di un culto preromano nelle<br />

località di Morlungo e di Scolo di Lozzo. Mentre per il primo, si è recentemente giunti ad una risposta<br />

affermativa, Gambacurta 2002c, p. 273, per il sito di Scolo di Lozzo/Casale la questione rimane ancora<br />

aperta: in alcuni casi una frequentazione preromana, se non la presenza vera e propria di un ‘luogo di culto’,<br />

è stata data come «sicuramente accertata, anche se limitata a pochi materiali», Capuis 1993, p. 246; Ruta<br />

Serafini, Sainati 2005, p. 466 (che si soffermano solo sull’anomalia topografica rispetto agli altri santuari<br />

atestini). Più prudenti Baggio Bernardoni 2002, p. 279, Balista, Gambacurta, Serafini 2002, p. 115<br />

e Locatelli, Marinetti 2002, p. 281 che vedono nella coppetta iscritta di Lozzo «il vero punto forza» per<br />

proporre l’esistenza di un santuario preromano.<br />

239 Il santuario di Morlungo e quello di Scolo di Lozzo/Casale completerebbero, con la loro significativa<br />

posizione topografica, la corona di santuari che delimita l’abitato di Este. Tale modello è stato talvolta avvicinato<br />

alla situazione etrusca (Capuis 2005, p. 510, che cita Santuari d’Etruria 1985, p. 98). Questa stessa<br />

vicinanza è stata quanto meno sfumata da Adriano Maggiani, secondo il quale la disposizione ad anello sarebbe<br />

esclusiva del mondo veneto. Sebbene importanti raffronti possano essere stabiliti con alcune città etrusche,<br />

soprattutto Arezzo e Volterra, sussisterebbero, in ogni caso, differenze «consistenti e decisive». Maggiani 2002,<br />

pp. 77-78, facendo proprie le parole di Scheid 2001, p. 81, «Gli dei, in certo qual modo, sono cittadini. Abitano<br />

al centro di Roma, possiedono un pezzo di terra con una casa», osserva come maggiore sarebbe il divario<br />

con la concezione religiosa dell’urbs. Il metodo comparativo è sicuramente efficace, ma forse impone una certa<br />

cautela specialmente nel raffronto tra realtà tra loro molto distanti come, nello specifico, quella atestina dell’età<br />

del Ferro e quella della Roma di età imperiale, a cui sono appunto riferite le osservazioni di Scheid.<br />

240 Il deposito comprende almeno trentuno vasi ceramici, undici statuette, varie lamine figurate e non<br />

figurate, cfr. Tombolani 1981a, pp. 173-178, Pascucci 1990, p. 257, Mastrocinque 1992, p. 41. Sull’interpretazione<br />

del contesto, cfr. Capuis 1993, pp. 251-252, Gamba 2003, pp. 90-92. Sia Morlungo, sia San<br />

Daniele furono inseriti da Pascucci 1990, p. 52, nel gruppo dei complessi votivi composti da poche decine<br />

di oggetti di tipi ricorrenti, le cui circostanze di rinvenimento erano tali da non permettere di appurare se<br />

la loro deposizione fosse stata o meno unitaria. Secondo De Min 2005, p. 120, i depositi di San Daniele<br />

e Pozzo Dipinto, pur essendo testimonianze di un culto privato, sembrano allargarsi alla comunità. La<br />

presenza di una statuetta raffigurante Apollo tra i materiali della stipe di Pozzo Dipinto ha fatto avanzare<br />

l’ipotesi di una trasformazione del culto locale in quello della divinità maschile romana, De Min 2005, p.<br />

121, nt. 19. Sulle stipi patavine cfr. anche Gregnanin 2002b, pp. 265-267, Gregnanin 2006, pp. 29-50.

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