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e riflesso di un atto devozionale circoscritto nel tempo, praticato in luoghi di culto a<br />

carattere familiare o gentilizio, mentre quelli atestini sarebbero indicativi di una iterata<br />

frequentazione, ossia di un vero e proprio santuario. Rimane, però, da chiarire il motivo<br />

per cui le poche decine di pezzi del complesso atestino di Morlungo abbiano una<br />

potenzialità documentaria estremamente differente rispetto a quelli che compongono il<br />

deposito di San Daniele. Così pure bisognerebbe specificare perché la posizione periferica<br />

rispetto all’abitato, nonché lo stretto rapporto topografico con un corso d’acqua sarebbero<br />

da ritenere «analogie con il ben noto santuario di Reitia» nel caso del complesso<br />

votivo di Scolo di Lozzo/Casale e non altrettanto per San Daniele.<br />

Un’ultima considerazione a proposito dei santuari atestini e della loro esclusiva disposizione<br />

ad anello. Un sistema coerentemente ideato può sussistere solo nel caso di<br />

contemporaneità tra gli elementi che lo compongono: ciò non sembrerebbe per Este,<br />

laddove Caldevigo si colloca tra il tardo V secolo a.C. e il III secolo d.C.; Meggiaro tra<br />

la fine del VI e il II secolo a.C., Reitia/Baratella tra la seconda metà del VII secolo a.C.<br />

e il II-III secolo d.C. 241 , Scolo di Lozzo/Casale tra il VI secolo a.C. (?) e il II secolo d.C.<br />

Alla luce degli esempi proposti, si potrebbe affermare che operazione preliminare<br />

alla ricostruzione della ‘topografia del sacro’ sia la valutazione della natura dei depositi,<br />

che in ambito veneto appaiono tra potenziali indicatori di un luogo di culto, attraverso<br />

un’analisi puntuale sia dei ‘contenitori’, sia del ‘contenuto’. Si dovranno distinguere depositi<br />

‘chiusi’, cioè sigillati dopo la collocazione, da quelli ‘aperti’, cioè iterati e dunque<br />

con vita variabile 242 . I termini cronologici saranno in questo caso estremamente approssimativi,<br />

non solo per le difficoltà intrinseche alla natura stessa degli oggetti 243 ma anche<br />

per le loro modalità di rinvenimento 244 . Poiché ‘chiuso’ e ‘aperto’ implicano conseguenze<br />

cronologiche, è chiaro che con estrema prudenza andranno avanzate considerazioni<br />

241 Secondo Bonetto 2009a, p. 111, il santuario di Reitia ad Este fu distrutto in epoca augustea o<br />

poco dopo; la frequentazione dell’area è documentata successivamente fino alla fine del II secolo d.C. solo<br />

da ritrovamenti monetali. Mastrocinque 1992, p. 20, aveva notato come, dall’analisi dei materiali votivi<br />

risultasse che vi furono offerte già tra VII e VI secolo a.C., che l’attività nel santuario fiorì tra V e II secolo<br />

a.C. e che essa continuò fino in avanzata età imperiale. Il declino si porrebbe verso la fine II secolo d.C.<br />

secondo Baggio Bernardoni 1992, p. 324; tra III e IV secolo d.C. per Capuis 1994b, p. 140; tra II e III<br />

secolo d.C. per Chieco Bianchi 2002b, p. 251.<br />

242 Bonghi Jovino 2005, p. 33.<br />

243 Nella maggior parte dei casi i pezzi sono datati entro un generico arco di tempo compreso tra il V e<br />

il III secolo a.C., cfr. Capuis 1993, pp. 87, 238.<br />

244 Bonghi Jovino 1976, pp. 10-11. A proposito dei complessi votivi veneti Paola Pascucci notava<br />

che, nella quasi totalità dei casi, i materiali sono pubblicati parzialmente ed in modo disomogeneo e che i<br />

dati stratigrafici sono pressoché assenti, sebbene alcuni contesti siano stati oggetto di indagine archeologica.<br />

Un caso esemplificativo, secondo la studiosa, sarebbe quello di San Pietro Montagnon per il quale non è<br />

ancora possibile, malgrado i lavori di sintesi ad esso dedicati, conoscere il numero complessivo degli oggetti<br />

rinvenuti, Pascucci 1990, pp. 34-36.<br />

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