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41<br />

questioni di metodo<br />

signum / solo suo ex voto dedit» 185 . Secondo Gian Luca Gregori si tratterebbe di «un testo<br />

di eccezionale rilevanza ai fini di un’analisi dei fenomeni d’integrazione, non solo perché<br />

dimostra la conoscenza da parte di un indigeno del formulario proprio delle iscrizioni<br />

latine, ma anche perché documenta la sopravvivenza, alle porte della colonia romana, di<br />

notabili indigeni forniti di cospicui mezzi economici e non sottoposti ad esproprio» 186 .<br />

Anche solo questi pochi esempi, limitati al benacense, dimostrano come in una stessa<br />

area i fenomeni di romanizzazione non siano generalizzabili. L’area in questione, infatti,<br />

considerata culturalmente omogenea, a prescindere dalle ripartizioni amministrative 187 ,<br />

presenta situazioni cultuali estremamente differenti.<br />

Seppure non pochi e, talvolta, vistosi, furono gli esempi di interventi monumentali<br />

tra II e I secolo a.C., si possono contare anche casi in contro tendenza.<br />

Alcuni santuari, infatti, non furono coinvolti in progetti di rinnovamento in senso<br />

monumentale.<br />

Un caso emblematico è quello del santuario di Lagole di Calalzo 188 , dove l’unica<br />

struttura superstite sembra essere, al momento, «un grosso rudere in brutta muratura»<br />

non attribuibile al complesso. Lo spazio sacro rimase, anche nel periodo di massima fioritura,<br />

una radura fra i boschi, delimitata da alberi e, probabilmente, da recinti lignei 189.<br />

Altri luoghi di culto, infine, furono abbandonati.<br />

Ad Este, il declino del santuario di Meggiaro si porrebbe proprio alla vigilia del II<br />

secolo a.C. 190 . Che ciò sia da imputare alla ‘crisi’ di una committenza locale o elitaria,<br />

185 CIL V, 4266, InscrIt X, V, 57.<br />

186 Gregori 2010a, p. 35.<br />

187 Secondo Paci 2000, p. 445, con il termine Benacenses si indicherebbero tutti coloro che abitavano<br />

l’area gardesana a conferma dell’unità culturale, economica e sociale dell’intero territorio. Per Valvo 1996a,<br />

p. 523, il nome «non è indicativo di una etnia ma piuttosto di un’aggregazione umana (…) composita e di<br />

varia provenienza». La popolazione dell’Alto Garda era, tuttavia, adtributa al municipio di Brixia mentre il<br />

settore orientale era di competenza veronese, almeno fino a Malcesine, cfr., a riguardo, Buonopane 1993,<br />

pp. 163-164, Valvo 1996a, p. 505, Buonopane 1997, p. 19, Gregori 2000, pp. 21-43, Paci 2000, pp.<br />

441-449, Buonopane 2001, pp. 217-221.<br />

188 In generale, cfr. Mastrocinque 1992, pp. 48-53, Capuis 1993, pp. 255-259, Materiali di Lagole<br />

2001, Gambacurta 2002a, pp. 253-255, Gangemi 2003c, pp. 75-76, Gangemi 2003d, pp. 88-90, Dämmer<br />

2003, pp. 238-243, Ruta Serafini 2003a, p. 60.<br />

189 Cfr. Fogolari 2001a, p. 371.<br />

190 Il momento di abbandono del santuario è oscillante: fu «in uso tra la fine del VI secolo a.C. e il IV<br />

secolo a.C.», Balista, Gambacurta, Ruta Serafini 2002, p. 115; «frequentato dalla fine del VI al III secolo<br />

a.C.», Ruta Serafini 2003b, p. 76; «durò fino alla fine del II a.C.», Balista, Sainati, Salerno 2002, p.<br />

139, le attività cultuali si conclusero «tra II e I secolo a.C.», Balista, Sainati, Salerno 2002, p. 141, subì<br />

un «precoce abbandono […] entro il III secolo a.C.», Ruta Serafini, Sainati 2002, p. 223, De Min 2009,<br />

p. 191. Secondo Ruta Serafini, Sainati 2005, p. 466, «nel II a.C. il rito di espiazione espresso dall’offerta<br />

del servizio ceramico all’interno del pozzo appare come l’ultimo atto di culto, quasi una exauguratio».

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