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Prefazione<br />

Il fattore religioso è universalmente considerato in dottrina uno degli indicatori più eloquenti<br />

per ricostruire gli sviluppi e le modalità di contatto fra culture diverse. Nel caso della<br />

Transpadana, soprattutto orientale, dove i processi di romanizzazione si dispiegarono senza<br />

registrare traumi bellici, stravolgimenti demografici e cesure culturali l’universo del ‘sacro’ è<br />

sembrato da tempo un campo di studio assai fertile per rilevare tempi, modi e protagonisti<br />

dell’incontro fra mondo indigeno e mondo romano; tale prospettiva d’analisi è risultata peraltro<br />

favorita dalla relativa ricchezza di dati restituiti da una pluralità di fonti di differente<br />

tipologia. L’approccio metodologico adottato con più frequenza è stato quello di censire le entità<br />

religiose attraverso i teonimi menzionati nei titoli epigrafici e attraverso le iconografie dei<br />

votivi, per procedere quindi a una categorizzazione delle risultanze secondo una tassonomia<br />

consolidata che si traduceva nella distinzione fra divinità indigene, divinità romane, divinità<br />

orientali, cui si era soliti aggiungere un’appendice dedicata al cosiddetto ‘culto imperiale’;<br />

in siffatta prospettiva d’indagine frequente era il riferimento alla religione di sostrato; si riteneva,<br />

infatti, che le popolazioni locali avessero per lo più perpetuato le proprie tradizionali<br />

forme devozionali limitandosi a travestirle sotto il nome di una divinità romana considerata<br />

affine sotto il profilo delle peculiarità liturgiche, tanto che la chiave esegetica adottata, talora<br />

motivatamente ma più spesso immotivatamente, è stata a lungo quella dell’interpretatio.<br />

Recentemente è però maturata una differente consapevolezza nello studio del sacro che,<br />

soprattutto nell’ambito della religione romana, ha evidenziato la coesistenza di una pluralità<br />

di microsistemi religiosi autonomi, per lo più insistenti sulle singole comunità civiche le<br />

quali, per la natura eminentemente pubblica, collettiva e ‘politica’ della dimensione religiosa<br />

antica, si qualificavano come le principali protagoniste dell’organizzazione dei riti e delle<br />

pratiche devozionali, anche sotto il profilo della loro calendarizzazione e del loro finanziamento.<br />

Ne è derivata una vera ‘rivoluzione’ nell’approccio metodologico della ricerca che<br />

- IX -

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